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"Addio stabilizzazione dei precari!", di Silvana La Porta

Il testo del decreto sviluppo, che verrà portato in Aula la prossima settimana, non offre soluzione ad una speranza che era balenata da mesi e per la quale tanti supplenti avevano speso fior di quattrini: quella di giungere alla stabilizzazione lavorativa attraverso le aule dei tribunali

Il piano di stabilizzazione dei precari prevedeva il rispetto delle leggi europee e italiane relative alla regolamentazione dei contratti a tempo determinato già applicate nel settore privato. In varie forme queste leggi prevedono, infatti, la trasformazione dei contratti da tempo determinato a tempo indeterminato al terzo contratto stipulato o dopo aver lavorato (anche non consecutivamente) per 36 mesi con lo stesso datore di lavoro (in questo caso il MIUR).
Il punto della questione era che il Miur con una iniziativa legislativa aveva tentato di eludere proprio questa normativa comunitaria, la n. 1999/70 nonché le sentenze dei giudici favorevoli ai lavoratori precari della scuola. Il 28 aprile 2011, in conclusione dell’incontro sulle graduatorie ad esaurimento, l’Amministrazione aveva informato i sindacati circa la predisposizione da parte del Governo di un Decreto legge di “accompagnamento” che “aggirava”, per i soli lavoratori della scuola, l’applicazione della normativa europea in materia di contratti a termine.
Con la motivazione della particolarità delle procedure previste per l’assunzione del personale della scuola, si proponeva di derogare dal limite del triennio come vincolo per la stabilizzazione.
La speranza dei precari risiedeva dunque nel decreto sviluppo, che, però, nel testo che ha accolto i vari emendamenti, recita categoricamente così: “Non trova applicazione l’articolo 5, comma 4-bis, del decreto legislativo n. 368/2001 (in base al quale, qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i 36 mesi il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato)”.
In pratica, i contratti a tempo determinato potranno trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato solo nell’ovvio caso d’immissione in ruolo
D’altronde da più parti si levava l’obiezione che l’assunzione in blocco di tutti i precari con più di tre anni di lavoro sarebbe stata di difficile attuazione in un’unica soluzione, soprattutto in relazione alla mole di precari e molteplicità di fasce di precarie classi di concorso determinatesi negli anni.
Tuttavia non sarebbe risultato impossibile arrivare all’applicazione della normativa europea dopo un breve periodo di transizione. Per ora il decreto sviluppo ha detto no.
La via politica è sbarrata, restano le pronunce dei giudici favorevoli ai precari. Ma da sole non bastano.

da La Tecnica della Scuola