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"Le trombe leghiste e le campane di Napoli nella disfida della spazzatura", di Stefano Folli

Nel paradosso quotidiano che è ormai la politica italiana, c’è anche chi tira in ballo Pier Capponi, il condottiero fiorentino che mise un freno all’esercito francese con la famosa frase: «se voi suonerete le vostre trombe, noi suoneremo le nostre campane». All’epoca, verso la fine del Quattrocento, la minaccia indusse il re di Francia a ritirarsi da Firenze. Oggi a cosa servirebbe?
A parere di due parlamentari del Pdl, Landolfi e Nespoli, le campane napoletane sono chiamate a contrapporsi alle trombe leghiste. L’argomento è naturalmente la spazzatura che invade le strade e che nessuno riesce a eliminare. Il neosindaco De Magistris è già con le spalle al muro e a Roma non sono pochi quelli che si rallegrano in silenzio per il suo fallimento. Ma, com’era inevitabile, ora il nodo gordiano dovrà tagliarlo il governo Berlusconi attraverso un decreto. È lo stesso Quirinale a chiedere che l’esecutivo faccia in fretta il suo dovere, perché quello che si prospetta è «un lavoro duro». Ma la Lega si è subito messa di traverso in base al principio che i napoletani non possono pretendere di rovesciare su altri, più virtuosi, la loro immondizia.

E qui si arriva a Pier Capponi, evocato dai due «nazionalisti» napoletani contro i «secessionisti» leghisti. La storia presenta un risvolto grottesco, ma dice molto sulla condizione del paese. Di fatto la demagogia continua a essere il filo conduttore di troppi comportamenti. Il neosindaco ed ex-magistrato è stato eletto in modo trionfale grazie alle promesse populiste, e a quanto pare irrealizzabili, fatte in campagna elettorale. Ed è con una forte inclinazione al populismo che Berlusconi, all’inizio del suo mandato nel 2008, ha usato la vicenda napoletana contro i vecchi amministratori della sinistra: senza per questo risolvere sul serio il rebus della «monnezza».

Con altrettanta demagogia la Lega alza oggi la voce sull’emergenza rifiuti. Può darsi che in linea generale e astratta Calderoli e i suoi abbiano ragione. Ma in termini politici hanno torto. E si capisce perché: essi sono parte, come leghisti, di un governo di coalizione che non può disinteressarsi di ciò che sta accadendo a Napoli. Compresi i rischi che si scateni qualche epidemia.

Questa mini-secessione dalla spazzatura del Sud ha tutta l’aria di un espediente per sfuggire sul piano mediatico alle difficoltà che attanagliano il Carroccio. Assomiglia alla grande campagna fallita sul trasloco dei ministeri al Nord. Parole forti per esiti minimi. Difatti è impensabile che il governo di Roma si disinteressi della catastrofe partenopea. Potrà modulare il suo intervento (e quindi il testo del decreto) in modo da caricare una parte degli oneri sulle spalle dei napoletani. Ma è del tutto irrealistico immaginare che Berlusconi non accolga rapidamente l’appello del Quirinale. E a meno di credere che la Lega voglia aprire una crisi di governo sulla spazzatura, c’è una sola soluzione: il partito di Bossi dovrà acconciarsi a un compromesso, come si conviene a una forza di governo.

Sullo sfondo di questi sussulti maleodoranti, acquista spessore il dramma di Marco Pannella. Il contrasto non potrebbe essere più evidente. La protesta del leader radicale riguarda i problemi delle carceri, ma suona soprattutto come rivendicazione di una nobiltà della politica che coincide con il riscatto delle istituzioni rispetto alle miserie e forse all’impotenza dei partiti. Non è poco nell’ora attuale e il capo dello Stato lo ha capito.

Il Sole 24 Ore 25.06.11

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