attualità, politica italiana

"Sull'orlo del vulcano", di Eugenio Scalfari

Moody´s, la principale delle tre agenzie internazionali di “rating” ha declassato di tre punti in una sola volta il debito italiano. «Lo sapevamo – ha commentato il “premier” – non cambia nulla». Il commento è tipicamente suo. Nel corso degli ultimi quattro anni, da quando la crisi internazionale è esplosa, lui ha commentato le fasi principali di quella tempesta in questo modo: 1. «La crisi non c´è, è un´invenzione dei “media” e dei comunisti». 2. «La crisi c´è stata ma l´abbiamo superata». 3 «La crisi è tuttora in corso ma noi ne usciremo meglio degli altri».
Dopo questi tre passaggi, che hanno coinciso con il progressivo aggravamento della situazione economica internazionale e italiana, ci siamo trovati nella condizione d´esser posti sotto il “protettorato finanziario” di Draghi e di Trichet, cioè della Banca centrale europea, che ci ha dettato per iscritto le misure da prendere se volevamo essere aiutati dall´intervento della Bce a sostegno del nostro debito sovrano. Vi immaginate se Trichet avesse dettato il da fare alla Merkel o a Sarkozy o a Cameron o perfino al governo norvegese o danese o austriaco? Sarebbe stato cortesemente accompagnato alla porta di quelle rispettive cancellerie.
In Italia no. Noi abbiamo bisogno d´un vincolo esterno perché da soli non sappiamo provvedere al nostro bene comune quando la situazione generale peggiora ma anche in condizioni di relativa normalità. Tuttavia non sempre questo è accaduto. Nel ´65 provvedemmo da soli, egualmente nel ´74, egualmente (e fu il caso più grave anzi gravissimo) nel ´92. Ma allora la squadra politico-economica era folta e ben assortita: c´erano Vanoni, Saraceno, La Malfa, Visentini, Cuccia, Mattioli, Andreatta, Carli, Amato, Ciampi e probabilmente ne dimentico qualcuno. Erano tutti di massima competenza ma soprattutto avevano una visione lucida del bene comune. Non c´era bisogno d´un vincolo esterno, sapevano nuotare da soli e talvolta furono loro a dare qualche “dritta” ai colleghi europei.
I comunisti allora c´erano veramente. Si occupavano – quelli del Pci – di difendere gli interessi dei lavoratori. Nei limiti del possibile ci riuscivano con l´aiuto delle altre componenti della sinistra. Fu la grande stagione del “welfare”, dei diritti civili e di quelli sociali. La cultura azionista servì da collante tra la sinistra e il centro e da antemurale laico alla tentazione clericale. Sappiamo degli errori e degli orrori del comunismo internazionale e della vergognosa copertura che il Pci gli fornì, ma per quanto riguarda l´Italia nel periodo di guerra fredda resta quel contributo che bilanciò e rese possibile l´equilibrio delle forze in campo.
Tutto questo sembra preistoria. Oggi siamo il protettorato d´una Banca e camminiamo sull´orlo d´un vulcano ma siamo così ingombranti che un nostro “default” potrebbe essere letale per l´intera economia europea e perfino americana.
Forse il perché di questo nostro esser diventati un pericolo mondiale non è ben chiaro. Cercherò di spiegarlo. Del resto basta leggere il breve testo con il quale Moody´s ci declassa, per capire.
* * *
Nello stato dei fatti, dice Moody´s, il debito sovrano italiano non è insolvibile e probabilmente non lo sarà nemmeno in futuro se misure adeguate saranno adottate con urgenza ed efficacia. Ma i mercati – dice Moody´s – non hanno fiducia che ciò accada. Le misure prese, anche per la provvidenziale pressione del presidente della Repubblica, vanno nella giusta direzione ma sono state adottate solo parzialmente anche per quanto riguarda le parti relative al rigore dei conti pubblici. Per quanto invece riguarda la parte che concerne la crescita del Pil mancano ancora totalmente e quelle delle quali si parla non sembrano tali da provocare effetti significativi. Perciò la sfiducia del debito sovrano non diminuisce, le aspettative dei mercati non migliorano. In tali condizioni i portatori di titoli italiani tendono a disfarsene, i rendimenti aumentano, nelle ultime aste hanno sfiorato il 6 per cento pur trattandosi di collocamenti di modesta entità. Nel 2012 scadranno titoli italiani per circa 250 miliardi, una cifra imponente. Chi li sottoscriverà?
Questi dettagli (che non sono affatto dettagli) non sono scritti nel testo di Moody´s ma sono ben noti a tutti, al Tesoro, agli operatori e ovviamente alle agenzie di rating. Mi permetto di aggiungere un altro elemento che non è certo da sottovalutare: la dilagante sfiducia connessa al rigore senza crescita determina effetti depressivi sull´economia reale e sui flussi del credito bancario alle imprese. Esercita effetti devastanti sulla coesione sociale. La paralisi governativa aumenta con l´eccezione dei temi che riguardano gli interessi privati del presidente del Consiglio.
Tutto lascia prevedere che la Grecia dovrà chiedere la moratoria per il suo debito. Vuol dire che i creditori di quel debito, cioè le banche, si troveranno in mano poco più che carta straccia e non si tratta di banche di poco conto ma di grandi istituti soprattutto francesi e tedeschi, alcuni dei quali dovranno necessariamente essere salvati con danaro pubblico, cioè nazionalizzati.
Disfarsi adesso di titoli greci è di fatto impossibile. Ma quelle stesse banche e moltissime altre sparse nel mondo ma soprattutto in Italia, possiedono anche forti quote di titoli italiani che si troveranno in prima linea (ci si trovano già) dopo la moratoria del debito greco. I titoli italiani si commerciano ancora agevolmente, perciò le banche e gli altri enti che li possiedono cominciano a disfarsene e i rendimenti ad aumentare. Sul mercato secondario sono già più elevati del pur elevato rendimento delle aste e lo sarebbero ancora di più se la Bce chiudesse il rubinetto dei suoi interventi.
Ecco perché Moody´s ha declassato il nostro debito. Berlusconi ha detto che «non cambia niente». In un certo senso è vero, siamo nel peggio e nel peggio continueremo.
* * *
Questo di Moody´s è il fatto del giorno ed era giusto occuparsene; ma nel frattempo molti altri ne sono accaduti, importanti e significativi, sempre più rapidi e rovinosi a causa del disfacimento dell´apparato di governo. Ne abbiamo già dato notizia nei giorni scorsi ma credo sia utile ricordarne alcuni affinché non se ne stinga la memoria.
è tuttora inevasa la pratica che riguarda la nomina del successore di Mario Draghi al vertice della Banca d´Italia. Se ne parla dallo scorso giugno, la scadenza improrogabile arriverà alla fine d´ottobre. La procedura è stabilita dalla legge: il presidente del Consiglio propone un nome al Consiglio superiore della Banca il cui parere è obbligatorio ma non vincolante. Ottenuto quel parere il presidente del Consiglio riunisce il Consiglio dei ministri e propone la ratifica del nome prescelto. Prepara e firma il decreto di nomina e lo sottopone alla firma del Capo dello Stato che lo rende in tal modo esecutivo. Non è esatto dire che il Capo dello Stato lo controfirma, il decreto infatti non è un atto di legge di competenza esclusiva di Palazzo Chigi ma è un decreto del Quirinale, sicché quella del Capo dello Stato non è una controfirma “dovuta” ma una firma che manifesta una volontà autonoma e non obbligata.
Questa complessa procedura derivante dall´importanza della carica in questione implica pertanto che il presidente del Consiglio per scegliere il candidato abbia preventivamente contatti informali con il Quirinale.
Tali contatti ci furono già in giugno e in luglio e sembrò che avessero portato a un risultato, sennonché a quel punto si interpose il parere contrario del ministro dell´Economia la cui partecipazione non è prevista nella procedura di nomina e questa è la sola ragione del grande ritardo che tuttora perdura. Per quattro mesi questa pratica è rimasta inevasa con crescente disagio e stupefazione degli operatori, delle autorità europee e della Bce ed ha contribuito non poco a quella sfiducia dei mercati nei nostri confronti che Moody´s lamenta nella sua decisione di declassamento del nostro debito sovrano.
* * *
Si è aperto un ampio dibattito politico dopo l´intervento del cardinale Bagnasco sulla necessità di “purificare l´aria” nella vita pubblica italiana, diventata “eticamente mefitica”. Il presidente della Conferenza episcopale non ha fatto nomi ma è stato non di meno esplicito poiché ha richiamato al rispetto dell´articolo 54 della nostra Costituzione che impone a tutti coloro che rappresentano istituzioni pubbliche di «onorarle con comportamenti sobri ed eticamente corretti». Chi sia il principale destinatario (non certo il solo) di tale reprimenda dei vescovi è chiarissimo, ma il suddetto Destinatario ed i suoi fedeli collaboratori hanno accettato fervorosamente le parole di Bagnasco con il presupposto che non riguardano loro ma ovviamente i giudici felloni e i comunisti faziosi.
Lo stesso Bagnasco ha anche informato che la Chiesa sta preparando insieme a molte comunità e associazioni cattoliche un soggetto che interloquisca con la politica affinché i cattolici civilmente impegnati abbiano un luogo di incontro e di discussione comune. Non si tratta di un partito – ha precisato il cardinale – perché «la Chiesa non fonda e non dirige partiti», ma d´una sorta di oratorio pre-politico che serva da raccordo al pluralismo politico dei cattolici.
Alcuni ben noti “atei devoti” hanno polemicamente osservato che i laicisti (neologismo improprio che significa laici non credenti) avrebbero dovuto protestare contro Bagnasco poiché il cardinale avrebbe interferito ben due volte nella sfera di competenza dello Stato. Per loro è un bene ma i laicisti avrebbero dovuto fare fuoco e fiamme. Ma perché?
L´articolo 54 fa parte della Costituzione ed è quindi patrimonio di tutti gli italiani. Noi l´abbiamo ricordato assai prima del cardinale e siamo lieti che l´abbia fatto anche lui. Il principale Destinatario se ne infischia, per conseguenza questo è l´ennesimo caso in cui viola la Costituzione sulla quale ha giurato.
Quanto al progetto di creare un punto di raccordo tra la pluralità delle associazioni e comunità cattoliche, non è cosa che riguardi i laici non credenti; rientra nello spazio pubblico che la Costituzione garantisce a tutti in ragione di quella libertà religiosa che ai laici sta particolarmente a cuore.
Infine: si è acceso un vivace dibattito all´interno del centrosinistra e in particolare del Pd tra chi ritiene che nel breve termine l´obiettivo primario per il bene del Paese sia la caduta del governo e la sua sostituzione con un governo di responsabilità nazionale, da un lato, e dall´altro chi vede come obiettivo primario la caduta del governo e le elezioni immediate. Il presupposto è comune, le tesi derivate hanno segno diverso.
La mia personale opinione è che le elezioni immediate, in questa situazione economica e con questa legge elettorale, sarebbero una pessima soluzione. Un governo di responsabilità nazionale affidato ad una personalità di massima autorevolezza sarebbe invece una garanzia per decantare la situazione, uscire dai “protettorati” e mostrare che siamo capaci di nuotare senza salvagente riconquistando fiducia in noi stessi e ispirandola agli altri.

La Repubblica 06.10.11

******

Parla il capo del team di analisti di Moody´s per l´Italia, Alexander Kockerbeck. “Ritardi, troppe tasse e misure incerte ecco perché vi abbiamo abbassato il voto”, di EUGENIO OCCORSIO

«Noi abbiamo rilevato un marcato incremento della vulnerabilità dell´Italia rispetto agli eventi esterni. L´ambiente globale è incerto e il rischio di un ulteriore peggioramento nel sentiment degli investitori colpirebbe proprio il costo del debito pubblico italiano». Spiega le motivazioni con metodo pedagogico Alexander Kockerbeck, l´analista di Moody´s che per quattro mesi ha passato al microscopio l´economia italiana concludendo con la sonora bocciatura dell´altra notte: «Un rating A2 indica che il rischio di default dell´Italia resta remoto. Ma il cambiamento strutturale nel mercato monetario dell´Eurozona peggiora la vulnerabilità del vostro Paese, aumenta il pericolo di perdita di accesso al mercato a tassi accessibili, quindi lo rende incompatibile con un rating “Aa”».
L´Italia è un vaso di coccio fra vasi di coccio, ma siccome è più di coccio degli altri, diventa inevitabile il downgrading?
«Il comitato che ha deciso il declassamento ha valutato tre elementi. Il primo è l´aumento del rischio nel finanziarsi a lungo termine per i Paesi dell´euro ad alto debito pubblico come l´Italia, visto che è in corso una crisi eccezionale dei debiti sovrani. Il secondo è il ribasso delle prospettive di crescita dell´Italia sia per le debolezze strutturali che per l´indebolimento dell´outlook globale. Il terzo è l´incertezza, nonché i tempi dilazionati, nel centrare gli obiettivi governativi e rovesciare la tendenza negativa, dovuta alle esitazioni politiche interne».
Dei tre fattori, solo l´ultimo è colpa dell´Italia?
«È importante considerare la sinergia fra loro, che genera effetti più forti dei fattori positivi che pure esistono: la scarsezza di squilibri finanziari, l´assenza di bolle speculative sulla casa, il basso indebitamento privato, la solidità delle banche rispetto ad altri Stati. Un pacchetto di elementi di solidità che potrebbero aiutare a stabilizzare il merito di credito del Paese».
Il governo attuale vi sembra all´altezza della sfida?
«Mettiamola così. Le debolezze strutturali dell´Italia, cioè la bassa produttività e le pesanti rigidità sia sul mercato del lavoro che nella distribuzione, sono ancora tutte lì. Per questi punti di debolezza il Paese non è stato in grado di impostare un più alto potenziale di crescita nel decennio passato. Quando è arrivata la crisi nel 2009, gli stessi fattori hanno rafforzato la dinamica negativa».
Ma ci sono stati ritardi nell´attaccare la crisi?
«I piani del governo hanno appena cominciato ad essere indirizzati ad alcuni dei problemi strutturali e avrebbero bisogno di essere attuati rapidamente, invece avranno bisogno di tempo. Nel frattempo le prospettive di sviluppo sono state riviste ovunque al ribasso. Ma la crescita è il fattore cruciale: determina le entrate del governo, il raggiungimento degli obiettivi fiscali, la traiettoria del debito».
Come giudicate l´ultima manovra?
«Ci sono significativi rischi sulla sua riuscita. Più di metà delle misure si basa su crescite delle entrate, il che rende l´intera operazione vulnerabile alle carenze di sviluppo. Qualsiasi misura aggiuntiva è soggetta ad un difficile consenso politico, e così il governo può trovare arduo arrivare a un livello di surplus primario tale da ridurre il rapporto debito/Pil».
Vi siete riservati di rivedere ancora la valutazione?
«No, il rating non è sotto revisione. Abbiamo un outlook negativo dato che le sfide interne ed esterne non possono essere vinte in una notte. L´Italia avrà bisogno di rifinanziamenti per 200 miliardi nel 2012: forse le prossime misure europee miglioreranno la situazione, ma può accadere anche il contrario: per questo non era possibile che l´Italia restasse nella categoria “Aa”».

La Repubblica 06.10.11