cultura

«Perché ci "riprendiamo" la Biblioteca Nazionale», da unita.it

«Il nostro è un paese dove si legge poco. Il nostro è un paese dove due milioni di persone sono totalmente analfabete. Il nostro è un paese dove cinque milioni di persone sono semianalfabete. Il nostro è un paese dove non si promuove la lettura. Il nostro è un paese dove le biblioteche sono considerate un consumo culturale e non un servizio necessario. Noi la pensiamo diversamente».

Dentro il “noi” di questo manifesto ci sono i nomi e le storie e le facce dei lavoratori della cultura, degli occupanti del Teatro Valle di Roma, dei lavoratori della Biblioteca Nazionale, e degli intellettuali-artisti-scrittori che si sono raccolti attorno alla sigla TQ (ovvero la generazione trenta-quarantenni). Ognuno di loro, in questi mesi, ha elaborato una serie di riflessioni sullo stato della cultura nel nostro paese. Con riunioni pubbliche, manifesti e occupazioni di cui adesso proveranno a tirare le fila in un’assemblea pubblica alla Biblioteca Nazionale di Roma.

L’appuntamento è martedì 11 ottobre. Tra i relatori: Tullio De Mauro, professore di linguistica; Antonella Agnoli, bibliotecaria, autrice de “Le piazze del sapere”; Osvaldo Avallone, direttore della Biblioteca Nazionale; Marino Sinibaldi, direttore di Radio 3; gli scrittori Christian Raimo, Vincenzo Ostuni, Emanuele Trevi, Marco Lodoli, Erri De Luca.

Il documento su cui si confronteranno ha come titolo “Carta batte forbice” e naturalmente (vista la sede scelta per discuterlo) ha al centro una riflessione sul ruolo delle biblioteche. «Le biblioteche pubbliche sono come le fontanelle – scrivono – sono come i pronto soccorsi: sono necessarie in una comunità che vuole dirsi tale».

Il confronto con gli altri paesi è disarmante. «Perché allora un luogo così importante (la Biblioteca Nazionale, nedr) chiude alle 19 e il sabato alle 13.30, mentre, ad esempio, a Berlino e a Monaco le biblioteche restano aperte fino a mezzanotte, a Malaga restano aperte 22 ore su 24, in altre città sono aperte di domenica, o a Londra alcune biblioteche come quella della London of School economics non chiudono mai?»

La domanda si fa ancora più amara se si pensa che l’istituto chiude i suoi portoni per tutto il mese di agosto – forse che lettori e ricercatori quel mese non leggono e non ricercano? Le risposte, spesso si avvitano attorno alla questione dei fondi. Ma i promotori dell’iniziativa insistono anche su questo punto facendo un riferimento a quello che avviene per esempio in Inghilterra: «Perché i soldi che ha in dotazione sono un milione e trecentomila euro l’anno mentre, sempre per dire, alla British Library lo stato dà l’equivalente di 150 milioni di euro l’anno e alla Bibliotèque Nationale de France 200 milioni di euro?»

Ecco dunque l’idea di “riprendersela” questa biblioteca, con l’intenzione di trasformarla, almeno per un giorno «in quello che dovrebbe essere tutti i giorni: un luogo restituito alla cittadinanza, una “fontanella” della cultura. E abbiamo indetto un’assemblea per tutti coloro che sono convinti che la cultura debba essere un bene comune».