attualità, economia

"Nel segno dell'equità", di Maria Cecilia Guerra

Spostare l’onere del prelievo fiscale dal lavoro e dall’impresa,
nel nostro Paese, è un obiettivo non più eludibile. La strategia per perseguire questo risultato deve seguire più strade. Il recupero dell’evasione, che sposterebbe l’onere fiscale sui redditi non da lavoro dipendente e sui consumi. La razionalizzazione delle agevolazioni fiscali, che non significa intervenire con tagli lineari su istituti come le detrazioni per lavoro dipendente o per carichi familiari, ma disboscare le
centinaia di regimi speciali e incentivi di dubbia efficacia esistenti, molto spesso regressivi. Lo spostamento di parte dell’onere fiscale sui patrimoni e sui redditi finanziari.
Il problema del prelievo patrimoniale va affrontato in termini rigorosi, ricorrendo non a un prelievo straordinario, finalizzato ad abbattere una tantum il debito pubblico, che è tanto minaccioso quanto non risolutivo, ma a un prelievo ordinario, con aliquote contenute, coordinato con gli altri aspetti del sistema fiscale, in linea con quanto avviene in tanti paesi avanzati.
Un prelievo patrimoniale, che si sostituisca ad altri prelievi (o, in una situazione grave come quella delle finanze pubbliche italiane, ne eviti l’aumento), ha infatti tanti pregi.
Accresce l’equità del sistema: la disuguaglianza nella distribuzione dei patrimoni è infatti maggiore di quella dei
redditi, che pure è, nel nostro paese, molto elevata. È efficiente, in quanto non interferisce in modo rilevante con l’attività di produzione e consumo: lo spostamento del prelievo dai redditi di impresa e lavoro al patrimonio avrebbe quindi effetti potenzialmente positivi sulla crescita.
Potrebbe produrre un gettito significativo, senza il ricorso ad aliquote elevate: uno studio del Fondo monetario internazionale del 2010 mostra come, accettando di portare il prelievo sul patrimonio a livelli analoghi a quello medio vigente in Usa, Uk e Canada, l’Italia potrebbe ottenere un gettito aggiuntivo pari a circa un punto di Pil (15 miliardi). Potrebbe favorire il contrasto all’evasione fiscale, non solo attraverso il monitoraggio della ricchezza, ma perché permetterebbe di raggiungere anche contribuenti che sfuggano al prelievo sul reddito. Il prelievo patrimoniale può ovviamente essere articolato in vario modo. Si potrebbe
pensare a due prelievi: uno locale e uno nazionale, coordinati fra di loro in modo da calibrarne il peso complessivo. Il prelievo locale, con aliquote modulabili dai Comuni, dovrebbe riguardare, come in tutti i paesi avanzati, il patrimonio immobiliare, comprese le prime case. Il valore delle case risente infatti positivamente degli interventi a favore del territorio (opere di urbanizzazione, parchi pubblici,rete dei trasporti, illuminazione stradale, sicurezza, ecc.) messi a punto dalle amministrazioni locali. Si stabilirebbe quindi quella relazione fra costo richiesto al contribuente e benefici offerti dalla spesa pubblica locale che favorisce la responsabilizzazione degli amministratori e che deve essere alla base del federalismo fiscale.
Il prelievo nazionale, commisurato al valore complessivo del patrimonio del contribuente, potrebbe prevedere un’esenzione per patrimoni di minore entità. In entrambi i casi occorrerebbe
approntare una corretta valutazione del patrimonio immobiliare. Il valore catastale degli immobili è infatti oggi
non solo molto sottovalutato, ma, soprattutto, molto sperequato. Il patrimonio finanziario, mobile a livello internazionale, è difficilmente assoggettabile ad una imposta patrimoniale. Sarebbe allora importante chiamarlo a contribuire, non solo attraverso un’imposta sulle transazioni finanziarie, che non può che essere coordinata almeno a livello
europeo, ma anche, indirettamente, attraverso una più adeguata tassazione dei redditi finanziari a livello nazionale.
Qualcosa è stato fatto, con l’unificazione delle aliquote al 20%. Ma ci sono ancora molti spazi di intervento per eliminare regimi di ingiustificato favore che ancora vengono riservati a prodotti specifici, quali le polizze assicurative e i fondi comuni di investimento. Questi interventi potrebbero
essere accompagnati da un ridimensionamento dell’imposta di registro e dell’imposta di bollo sui depositi titoli che, dopo il
decreto di luglio, rappresenta un chiaro esempio di prelievo patrimoniale iniquo, in quanto progressivo su una sola componente del patrimonio personale. In conclusione, in
un regime fiscale ispirato a principi di equità ed
efficienza, reso finalmente comprensibile ai contribuenti,
non c’è ragione perché il disegno di un prelievo patrimoniale sia oggetto di veti.

L’Unità 20.11.11