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"Pensioni, recuperare il principio della flessibilità", di Cesare Damiano e Pier Paolo Baretta

Abbiamo appoggiato con convinzione la formazione del governo presieduto da Mario Monti. Nel fare questa scelta abbiamo anteposto gli interessi del paese a qualsiasi altra considerazione, anche alle convenienze di partito. In una situazione di eccezionale gravità la politica non può tirarsi indietro, anche adottando soluzioni straordinarie. Adesso viene il momento delle scelte, perché l’esecutivo deve assolvere al compito primario di portare l’Italia al riparo e restituirle autorevolezza e dignità in campo internazionale. Abbiamo apprezzato il discorso di insediamento del neo presidente al Senato perché in esso abbiamo ravvisato una vera discontinuità politica. Abbinare alla parola rigore quelle di crescita ed equità non è soltanto un fatto lessicale: si tratta invece di una scelta politica ben precisa alla quale bisognerà che seguano i fatti. Noi non siamo fra coloro che pensano che le proposte spettino esclusivamente al governo e che il compito della larga base parlamentare che lo sostiene sia semplicemente quello della ratifica. Vorremmo sfuggire alla logica del Si o del No acritici perché pensiamo che si debba portare un contributo autonomo e pretendere una discussione preventiva che porti alle necessarie soluzioni di compromesso. In primo luogo una discussione all’interno del nostro partito sugli argomenti cruciali che consenta di avere una sola posizione di sintesi e poi un confronto con le altre forze politiche che sostengono il governo e con il governo stesso. I compromessi migliori, anche quando sono difficili, sono quelli che nascono da un confronto chiaro delle idee e che sono vissuti in prima persona dai diversi protagonisti. Sul tema delle pensioni abbiamo depositato la scorsa settimana un disegno di legge (a prima firma Damiano-Baretta) con l’obiettivo di avviare una tempestiva discussione di merito su un argomento di estrema delicatezza sociale. Vorremmo che, prima di procedere a nuovi interventi sullo stato sociale, si facesse un’operazione – verità: contabilizzare i risparmi ottenuti dalle misure del governo Berlusconi che hanno colpito già duramente le pensioni, con la complicità della Lega. Quanto valgono in termini di risorse l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne da 60 a 65 anni, l’introduzione di una finestra mobile per tutti di un anno, la decurtazione della rivalutazione dell’assegno pensionistico a partire dagli assegni cinque volte il minimo e l’aggancio del pensionamento all’aspettativa di vita? I diagrammi del Ministero dell’economia mettono in luce che la famosa “gobba” che rappresenta la percentuale di spesa pensionistica rispetto al Pil si è abbassata di quasi due punti percentuali. Vorremmo che, nel segno dell’equità, analoghi risparmi si realizzassero con una patrimoniale o con l’Ici (modello Prodi), prima di parlare nuovamente di interventi sullo stato sociale.
La nostra proposta di legge sulle pensioni si basa fondamentalmente sul recupero del principio di flessibilità contenuto nella riforma Dini del ’95. Noi proponiamo, dal luglio del 2012 per tutti, un’età minima di pensione pari a 62 anni e una sua proiezione, a scelta del lavoratore, fino all’età di 70 anni.
Questo sistema è facilmente applicabile a tutti coloro che, avendo iniziato a lavorare dal 1 gennaio del ’96, adottano esclusivamente il sistema contributivo. Per coloro che hanno iniziato prima di quella data e che hanno il sistema retributivo o misto (retributivo-contributivo) offriamo l’opportunità di aderire alla nuova metodologia di calcolo flessibile. In quel caso, il lavoratore che dovesse trarre un vantaggio da questa scelta con un’uscita verso la pensione anticipata rispetto a quanto consentito dal sistema retributivo o misto (ad esempio 62 anziché i 65 della tradizionale pensione di vecchiaia), dovrebbe accettare per ogni anno una decurtazione dell’assegno pensionistico pari al 3%. Nel caso in cui un lavoratore dovesse scegliere di prolungare la sua permanenza al lavoro nell’età compresa tra i 66 e 70 anni, ne trarrebbe un beneficio che va da un minimo del 2% ad un massimo del 10%. In questo schema rimangono confermate le normative per i lavori usuranti e sono esclusi coloro che hanno maturato i 40 anni di contributi. Per questi ultimi proponiamo che ogni anno in più di permanenza volontaria al lavoro abbia una rivalutazione del 2%. Infine prevediamo per i giovani una piena totalizzazione di tutti i contributi: ogni giorno di lavoro regolare deve concorrere alla formazione di un unico assegno pensionistico. A questa misura occorrerà far seguire la piena armonizzazione dei diversi contributi. Le proposte ci sono e diventa urgente aprire un dibattito per arrivare ad una sintesi. Chiediamo al governo di continuare sulla strada già intrapresa della concertazione per alimentare il bene prezioso della coesione sociale, indispensabile risorsa nei momenti di crisi.

L’Unità 22.11.11