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"Quei ragazzi nel limbo", di Chiara Saraceno

Instancabilmente il presidente Giorgio Napolitano richiama la classe politica al dovere della responsabilità in tutti i settori cruciali per il futuro del Paese, quindi necessariamente anche per le condizioni in cui si trovano a crescere e operare le nuove generazioni, inclusi i bambini e adolescenti legalmente stranieri. Stranieri ma di fatto italianissimi per autoidentificazione ed esperienza quotidiana. A due riprese nel giro di pochi giorni, il Presidente ne ha denunciato con nettezza lo status di cittadini dimezzati, che li colloca in una sorta di limbo del diritto, di persone senza territorio e senza appartenenza. I minori nati in Italia da genitori entrambi stranieri e residenti nel nostro Paese sono oltre mezzo milione. Il loro numero è raddoppiato dal 2000, quando erano 277 mila. Costituiscono ormai quasi il 14% dei bambini che nascono ogni anno in Italia. In un Paese che invecchia rapidamente a causa della bassissima fecondità, si tratta di numeri importanti e di una risorsa umana preziosa. Tuttavia il nostro ordinamento continua a considerarli con indifferenza, quando non ostilità. Insieme ai bambini e ragazzi che sono nati altrove, ma stanno vivendo tutta la loro infanzia e adolescenza nel nostro Paese, condividendo lingua e abitudini con i loro coetanei autoctoni, i minori “stranieri” nati in Italia, infatti, vivono in una sorta di condizione sospesa per quanto riguarda la cittadinanza e i diritti ad essa connessi. La legge italiana li costringe in uno statuto di apolidi di fatto, se non di principio, con tutte le restrizioni che questo comporta. Se per qualche motivo i loro genitori perdono il diritto di soggiorno, ne seguono il destino, anche se l´Italia è l´unico paese che conoscono e in cui sono cresciuti. Ed è meglio che non passino lunghi periodi fuori Italia, per uno stage formativo o per stare con parenti rimasti nel paese d´origine, se non vogliono rischiare di perdere il diritto a chiedere la cittadinanza. Mentre a un giovane nato e cresciuto all´estero da genitori italiani che magari non hanno mai vissuto in Italia bastano due anni di soggiorno ininterrotto in Italia per ottenere la cittadinanza, ne occorrono diciotto ad uno figlio di stranieri nato e vissuto nel nostro paese, di cui ha frequentato le scuole, conosce la lingua e acquisito lo stile di vita e le norme di convivenza sociale.
Sono i paradossi dello jus sanguinis, che concepisce la nazionalità come una sorta di gene che si trasmette per via ereditaria e non per partecipazione quotidiana ad una società.
Sospesi tra due mondi, i bambini e adolescenti stranieri che nascono e crescono nel nostro Paese non appartengono a nessuno dei due: uno non lo conoscono, l´altro non li riconosce. L´esperienza di essere straniero nel loro caso è estrema; perché non c´è patria cui si possano sentire pienamente appartenenti. Si tratta di un´esperienza difficile anche per un adulto, ma che per una persona impegnata nella definizione della propria identità e nella individuazione del proprio posto nel mondo costituisce un handicap inutilmente gravoso. Può anche innescare processi di rifiuto, di estremizzazione difensiva della propria non appartenenza, con grave danno per tutti.
Sono ormai anni che si discute di una riforma della legge del 1992 sulla cittadinanza, in particolare, anche se non esclusivamente, per quanto riguarda chi è nato in Italia o comunque vi ha frequentato le scuole. Chissà se il Parlamento, liberato dalla necessità di discutere di provvedimenti di legge ad personam, troverà il tempo e il senso di responsabilità per approvare finalmente norme più civili e lungimiranti nei confronti dei ragazzi che crescono tra noi e con noi e che, con i nostri, sono il presente e il futuro del Paese. Solo se smettiamo di considerarli stranieri di passaggio, e anzi investiamo su di loro e sul loro desiderio di appartenenza, possiamo aspettarci da loro, come da tutti, che si impegnino lealmente per il nostro comune Paese. A differenza di quanto fanno i leghisti, per i quali l´appartenenza nazionale è solo un´arma da giocare contro gli immigrati, ma da rifiutare per tutto il resto.

La Repubblica 23.11.11

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Immigrati, l´affondo di Napolitano “Cittadinanza a chi nasce in Italia”, di Umberto Rosso

La Lega: pronti alle barricate. Il Pdl: governo a rischio. Il presidente: è una follia negare questo diritto. Sì dal Pd: se ne discuta in Parlamento. «Non so come definirla, un´autentica follia, un´assurdità. Questo è il non concedere la cittadinanza ai bambini figli di immigrati che sono nati in Italia ma che non diventano italiani». Per la seconda volta, nel giro di pochi giorni, Giorgio Napolitano torna a invocare la nuova legge sul diritto di cittadinanza. E al Quirinale, incontrando le chiese evangeliche, ha tirato fuori stavolta toni decisi e fuori ordinanza proprio per «inchiodare» i partiti alla necessità urgente di una riforma che introduca lo «ius soli», il diritto acquisito in base al luogo di nascita e non al paese di origine dei genitori. Obiettivo centrato, perché la sollecitazione ha rimesso all´ordine del giorno la questione, ma con la neo maggioranza di governo che si spacca sul da farsi. Tanto che arrivano perfino minacce di rappresaglia sulle sorti del governo Monti da parte del centrodestra. Il Pd invece accoglie in pieno il richiamo di Napolitano, «un´esigenza di civiltà che noi siamo pronti ad approvare entro Natale» garantisce il capogruppo Franceschini. Già depositato dai democratici un disegno di legge firmato da 113 parlamentari. Così come totalmente d´accordo con il capo dello Stato si dicono Terzo Polo e Idv. «Lasciamo da parte le contingenze elettorali su questioni come queste», propone Casini. Sì dal ministro Riccardi: «I nuovi nati sono cittadini italiani».
Al contrario, reazioni rabbiose contro il capo dello Stato della Lega, pronta «alle barricate» per non far passare una legge che «stravolgerebbe la Costituzione», sostiene l´ex ministro Maroni. «Napolitano sta esagerando», accusa l´eurodeputato Salvini. E l´altro ex ministro del Carroccio, Calderoli, replica che vera follia sarebbe non applicare più lo «ius sanguinis», e legge perfino nelle parole di Napolitano un mero espediente per dare la caccia ai voti degli immigrati: «Non vorrei che questa idea altro non sia che il cavallo di Troia che, utilizzando l´immagine dei «poveri bambini», punti invece ad arrivare a dare il voto agli immigrati prima del tempo previsto dalla legge».
Ma, al di là delle battutacce leghiste, resta il Pdl il nodo sensibile per la tenuta delle larghe intese. E qui echeggiano, pur fra differenti posizioni (l´ex ministro Carfagna per esempio è possibilista) e altolà perentori, e si agita il fantasma della crisi di governo se la riforma della cittadinanza non dovesse restare fuori dal programma. «Se qualcuno vuol fare cadere il governo e andare alle elezioni anticipate – minaccia La Russa, coordinatore del Pdl – ha trovato la strada giusta». E Gasparri, capogruppo al Senato: «Questa è una spallata. Il governo Monti è nato solo per occuparsi dell´emergenza economica, Lasci stare il resto». La replica arriva dal presidente della Camera Fini («Mi pare un modo originale di porre la questione»), che chiede invece di affrontare l´argomento alle Camere: «Sono temi che stanno nell´agenda politica e del Parlamento, spero che il mutato clima che si sta vivendo renda possibile lavorare su questo». Ma con la richiesta del presidente Napolitano si schierano anche molte associazioni, dalla Caritas all´Anci, da Telefono azzurro alle Acli, e i sindacati. Concedere la cittadinanza ai nati nel nostro paese, ha spiegato il capo dello Stato, «dovrebbe corrispondere ad una visione della nostra nazione di acquisire nuove energie per una società invecchiata, se non sclerotizzata». E per Napolitano la nomina di Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant´Egidio, a ministro per la Cooperazione e l´Integrazione, segnala «la possibilità di riprendere le politiche di integrazione che hanno uno sviluppo ormai lontano». Ovvero, quella riforma del ‘98 che porta proprio, insieme a Livia Turco, la firma dell´attuale presidente della Repubblica.

La Repubblica 23.11.11

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“Il presidente ha ragione bisogna ripensare la legge o siamo destinati al declino”, di Marco Ansaldo

Riccardi: superiamo la logica dell´emergenza. Già prima di ricevere l´incarico avevo deciso di parlare di questo tema. Ora lo farò a maggior ragione. Parlano la nostra lingua, vedono gli stessi paesaggi, sono legati a noi. Come possiamo considerarli stranieri?
«Sì, il presidente Giorgio Napolitano ha ragione: c´è la possibilità di riprendere in mano le politiche sull´immigrazione. E dunque occorre ripensare la legge sulla cittadinanza. Perché l´integrazione è un tema centrale di quest´epoca. Lo faremo, allora, nell´interesse del Paese, della generazione dei bambini immigrati e delle loro famiglie».
Per Andrea Riccardi è un periodo davvero intenso. Citato pubblicamente ieri dal capo dello Stato per l´importanza del nuovo ministero che gli è stato affidato, ma anche elogiato da un ministro del passato governo (Gianfranco Rotondi, il quale ha detto che lo storico della Chiesa e fondatore della Comunità di Sant´Egidio «ha una bella storia personale»), sa di avere dietro di sé anche l´attenzione del Vaticano e dello stesso Pontefice, che lo conosce bene e lo stima. Riccardi allora si schernisce, e si dice ancora «scombussolato» per la chiamata del premier Mario Monti a partecipare al nuovo esecutivo in un ruolo chiave, benché senza portafoglio. E tuttavia «felice» per la nuova avventura. Lo incontriamo mentre esce dal suo ministero, a Roma, a Largo Chigi.
Il presidente della Repubblica ha parlato di «assurdità e follia» per il fatto che i figli degli immigrati nati in Italia non siano cittadini italiani. È uno dei temi centrali del suo ministero. Che cosa ne pensa?
«Mi sembra che il capo dello Stato abbia dato – per la seconda volta nel giro di pochi giorni – un contributo al ripensamento dell´identità italiana. Ponendo l´accento sull´importanza di sapere chi siamo e dove andiamo. Un argomento decisivo».
Perché?
«Intanto perché giunge nell´anniversario dei 150 anni dell´unità d´Italia. Proprio quest´anno i giovani hanno potuto riscoprire le loro radici, direi con un orgoglio maturo».
E poi?
«Perché ha posto il problema dei nuovi italiani e fatto cenno alla legge che porta il suo nome, la Turco-Napolitano del 1998, che segnala un percorso per stabilizzare gli stranieri, seguendo una logica che va dal momento dell´emergenza a quello della stabilizzazione del fenomeno».
Però oggi le prospettive sono diverse.
«Sì, lo sono perché ora abbiamo un popolo di bambini che sono figli di immigrati. I nati in Italia giuridicamente stranieri superano il mezzo milione. E i minori residenti sono quasi un milione. Insomma, parlano l´identica lingua, vedono i medesimi paesaggi, vivono la stessa storia, sono legati al nostro mondo. Senza di loro l´Italia sarebbe più vecchia e con minori capacità di sviluppo».
Qual è la sua intenzione allora?
«Occorre ripensare la legge sulla cittadinanza. Questo proprio perché abbiamo fiducia nella nostra identità. Che è forte e al tempo stesso flessibile. Capace di integrare».
Un obiettivo ambizioso. Ma non vede dei rischi?
«Io piuttosto vedo convergere in questo progetto, come nelle grandi scelte della politica, l´identità nazionale con l´interesse nazionale. E anche con l´interesse dei soggetti in questione, cioè i bambini e le loro famiglie».
In quanto fondatore di Sant´Egidio è un argomento a lei caro. Non si attirerà però delle critiche?
«Veramente, e lo dico in modo assolutamente modesto, sono anni che auspico che questo tema sia trattato in modo ragionevole, legale, e soprattutto umano. Prima di ricevere questo incarico avevo già deciso di parlare di integrazione. Lo faccio ora a maggior ragione».
E dal punto di vista storico come lo considera?
«Credo che il tema dell´immigrazione sia importante tanto quanto la questione dei confini nell´Otto-Nocevento. E andrebbe affrontato perciò in modo preveggente, freddo e ragionevole».
Si dice che l´Italia abbia una società invecchiata, se non addirittura sclerotizzata. Ma è davvero così?
«Beh, sul tema dell´immigrazione ci si gioca sul serio il futuro, e la possibilità di acquisire nuove energie. L´integrazione è un passaggio importante. Gli stranieri ringiovaniscono il Paese. È una grande possibilità per il domani. E per tutti i cittadini italiani».
Napolitano ieri ha ricordato il significato della sua nomina a ministro, citando «l´integrazione nella società e nello Stato italiano». Un invito chiaro a puntare su questo aspetto?
«Io sono grato che Napolitano abbia fatto cenno al mio ministero. Anzi confesso che non sono ancora abituato a pronunciare questa parola, sono ancora fresco di nomina. Ma credo che rappresenti un segnale per affrontare la questione in modo non partigiano».

La Repubblica 23.11.11

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“Rappresento il Paese ai mondiali scacchi ma quando compirò 16 anni sarò esclusa”

Campionessa italiana under 16, e forse campionessa mondiale. Eppure per Daniela Roxana Movileanu, 14 anni, figlia di immigrati romeni, la passione per gli scacchi è nata così, quasi per caso. «Avevo 8 anni – racconta – e nella mia scuola avevano organizzato un corso di scacchi. Mi sono iscritta senza nemmeno sapere di che cosa si trattasse. Adesso giocare, ma soprattutto dare il meglio di me, è diventato fondamentale». È una storia di determinazione quella di Daniela, un fratellino più piccolo, papà elettricista e mamma infermiera arrivati da Focsani in Romania, in questi giorni in Brasile per disputare il titolo mondiale under 16. Daniela però non ha la cittadinanza, e compiuti i 16 anni se non arriveranno i documenti non potrà più rappresentare l´Italia nei tornei internazionali.

La Repubblica 23.11.11

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