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"Un giorno sarai ministro", di Mila Spicola

Il giorno dopo la presentazione del governo di Mario Monti mi ero svegliata con un proposito. Entrare in classe e dire: «Studiate, ragazzi, dai. Chi studia viene premiato. Potreste diventare persino ministri ». Quel giorno appesi la borsa alla sedia, ho aperto il registro di classe, firmato… «Ragazzi, ascoltate…»Gli occhi si sono fissati negli occhi di M. che ha il papà in galera, negli occhi di G. che è dislessico, disgrafico e sua mamma ogni volta allarga le braccia, negli occhi di G. che è intelligente, sì, ma è un pazzo scatenato, e quando chiamo la mamma..«la mamma non può venire»… negli occhi di F. che il libro non ce l’ha, ma ha un cellulare nuovo. Negli occhi di D, che conosce a memoria tutte le puntate del capo dei capi e nulla mi sa dire circa libri, diario, quaderni. Poi vedo M,quella bravissima, nonostante tutto quello che manca a scuola da noi e a casa sua emi ripetevo: ma che lo dico a lei? Che è l’unica che lo sa che deve studiare e infatti studia? Davanti a me gli occhi di tanti ragazzi palermitani, campani, sardi, che al disagio familiare sommano il disagio di scuole dimenticate, senza fondi, insicure e cadenti. Osservavo questo nuovo governo formato da persone stimabili edi grandi meriti emi immaginavo, un giorno, uno dei miei ragazzi al posto loro. G. in giacca e cravatta, ed M. con un bel tailleur color crema. Ma come potrebbe accadere?Non sono mica tanti piccoli ricchi Pierini cresciuti bene, con famiglie benestanti, strutture adeguate e destini già segnati. Sono i miei ragazzi del sud. I miei 44 su 100 che vivono sotto la soglia di povertà, che non hanno libri e a volte nemmeno vestiti. E sono rimasta zitta. Impotente, ecco come mi sentivo e come mi sono sentita in questi anni. Perché vorrei che anche i miei Salvo, Totuccio, Cetty crescessero egualmente bene, con eguali mezzi. Con il meglio: non il peggio del peggio. Nonostante la crisi, i conti e le lacrime. Qualcosa a questi ragazzi gliela dobbiamo restituire, a Palermo, a Napoli, nelle periferie di Cinisello.. Quelli che partono ultimi e tali rimangono: in classe, come nei test nazionali e poi ci chiedono pure perché. Metterli nelle identiche condizioni di altri, per dar loro modo di essere ministri o molto meno: per scelta, non per destino. Senza pensare che sia uno spreco e che soldi non ce ne sono. Questo pensavo quel giorno, un po’ scoraggiata, un po’ prevenuta lo ammetto e ripercorrevo le infinite discussioni per raccontare, per convincere, per tentare di aprire occhi e menti. E i muri sempre più alti. I colleghi licenziati, le classi affollate di vite difficilissime. E sono solo ragazzi. Esiste un ragazzo non difficile? E poi..un piccolo miracolo. Tutto mi sarei aspettata tranne che applaudire un banchiere, Visco, mentre leggevo le sue parole che sono state in questi anni le mie, le nostre, nelle classi, nelle scuole, nelle piazze, su questo giornale. È «fondamentale investire in istruzione» che oltretutto ridurrebbe gli incentivi a delinquere «perché ne diminuisce il guadagno relativamente a quello conseguibile legalmente». E sì, caro Visco, hai ripetuto le nostre litanie finalmente, che non erano litanie ma verità:«Un paese come il nostro, povero di risorse materiali e ormai in ritardo su diversi fronti, dovrebbe mirare a investire in conoscenza non “sotto” e neppure “sulla” ma “al di sopra” della media di altri paesi più dotati di risorse naturali». «Sono ritardi gravosi – ha concluso Visco – ancor più in un Paese che, come il nostro, registra da tempo un deficit di crescita. È per questo che le politiche dell’ istruzione non devono semplicemente mirare a colmare i divari con le economie più avanzate». Colmare i divari. Quelli dei 44 bambini su 100 poveri al sud, che sono anche quelli che rimangono indietro a scuola, che sono anche quelli del 26%di dispersi dalla scuola, che sono anche quelli a cui la Gelmini ha tolto più ore e più docenti, che sono anche quelli che la classe politica tutta, nazionale e regionale, lascia in edifici improponibili e non certo da stimolo a rimanerci, che sono quelli che non hanno tempo pieno, famiglie alle spalle o stimoli. Che sono quelli che giocano per strada e non nei giardini. Che hanno sempre meno cultura, libri, cibo. In Brasile Lula assegnò l’assegno del pane alle mamme, disse loro: se i vostri figli non vanno a scuola e non proseguono bene ve lo tolgo. Basta poco: i libri sono il pane. Coi libri si mangia. Potremmo farlo anche noi no? Insieme a tanto altro. Alle attenzioni, ai provvedimenti mirati, al buon senso e alle competenze. È cambiata un’era. Giorni fa mi chiedevo se Monti queste cose le sapesse. Da venerdì sappiamo che i banchieri lo sanno. E da ieri, ne abbiamo certezza, con la nomina di Marco Rossi Doria che ci ha commosso e inorgoglito, il quale queste cose da anni le predica e le pratica e al quale facciamo un immenso abbraccio di auguri da colleghi, le sapranno anche a viale Trastevere. Cambia un’era: si torna italiani. Coi libri si mangia e si tenta persino di colmare divari che durano da 150 anni. Un giorno cara la mia M., sarai ministro.

L’Unità 30.11.11