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"I patrimoni sono il primo obiettivo", di Stefano Lepri

È razionale tassare di più, molto di più, la casa, come misura principale di riequilibrio del bilancio. E’ razionale destinare una parte del ricavato a ridurre l’Irap. Si aggiunge una riforma delle pensioni ben congegnata, che potrebbe essere definitiva. Nuove liberalizzazioni potrebbero aprire spazi alla crescita economica ed abbassare costi e prezzi.
Scompaiono parecchi enti inutili. In molti dei casi si tratta di decisioni sollecitate da anni.

Tutto questo può piacere o non piacere, ma ha un disegno. L’equità di fondo è data appunto dal concentrare sui patrimoni, immobiliari e in parte anche finanziari, il pesante aggravio di imposte che la situazione di emergenza richiede e che purtroppo non poteva essere evitato. L’Italia è appunto ricca nel patrimonio rispetto ad altri Paesi anche più ricchi nel reddito; in più, i patrimoni sono distribuiti in modo più diseguale dei redditi.

Dunque tassare di più la casa, pur se colpisce l’80% delle famiglie, è più pesante per i ricchi. Sarebbe meglio commisurare l’imposta ai valori di mercato piuttosto che alle fittizie e per di più invecchiate rendite catastali, ma non c’è il tempo, perché il fisco non li conosce. L’adeguamento delle rendite alla realtà di oggi, che parecchi grandi Comuni avevano già a buon punto, è stato interrotto tre anni e mezzo fa dall’abolizione dell’Ici sulla prima casa.

In teoria, secondo la teoria degli economisti, sarebbe stato meglio puntare di più sui tagli alle spese. Purtroppo quando si opera con tempi di emergenza ridurre le spese risulta più difficile, come ha fatto presente ieri sera per lunga esperienza il ministro Piero Giarda. Inoltre, occorreva più che altro assicurare l’efficacia delle riduzioni di spese decise dal precedente governo, non tutte dettagliate e non tutte sicuramente praticabili.

La misura a più robusto effetto sulla crescita dovrebbe essere lo sgravio dell’Irap nella parte che incide sul costo del lavoro. Le imprese la reclamavano da anni, e ha un costo notevole. Certo, comporta il rischio di rimpinguare i profitti, piuttosto che di muovere nuovi investimenti. Funzionerà se l’insieme della manovra risulterà credibile e ridarà fiducia sia in Italia sia all’estero nelle prospettive della nostra economia.

Se si vuole criticare il maxi-decreto di ieri sera, è facile sostenere che avrà un effetto recessivo. Nell’immediato, sottrarre 20 miliardi netti di euro non può che deprimere l’economia. Tuttavia, incidere molto sui patrimoni e detassare le imprese è una delle combinazioni meno peggiori; occorre che vi si accompagni un forte recupero di evasione fiscale. Ieri sera il presidente del consiglio ha detto che i provvedimenti presi sono «piuttosto incisivi», però mancano ancora sufficienti dettagli.

Ad esempio non sarebbe stato assurdo fissare a 500 euro, invece che a 1.000, il limite della tracciabilità dei pagamenti. Dentro l’attuale governo vi sono tutte le capacità tecniche per agire in modo deciso contro chi froda il fisco. Sarà essenziale provarlo, quando da oggi in poi si sentirà affermare da più parti che nulla cambia, perché pagano sempre i soliti: secondo alcuni i lavoratori, secondo altri i ceti medi, secondo altri ancora i poveri.

Nella situazione in cui ci troviamo, qualche sacrificio lo devono fare tutti. Nessuno, potrebbe riuscire a ricavare 20 miliardi di euro soltanto dai «ricchi». Un governo tecnico serve proprio a non subire quei ricatti dei pochi sui molti, ovvero delle lobby capaci di minacciare compatte un cambio di scelta elettorale, che normalmente paralizzano i partiti politici. Per questo motivo è essenziale che la gran parte dei cittadini venga persuasa.

La Stampa 05.12.11