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"I mercati scommettono sul super-euro dei Paesi nordici", di Tonia Mastrobuoni

Ogni tanto riemerge, come un fiume carsico. L’idea di un euro “dei forti”, di una supermoneta dei “fittest”, di chi è darwinianamente più adatto al mondo globalizzato. Un euro-nocciolo dei paesi nordici con le loro robuste e austere economie. E tutti gli altri fuori, con buona pace dell’Europa. E ogni volta quest’ipotesi viene ricacciata con sdegno nel dimenticatoio da un coro unanime di economisti e politici. L’ultima volta nove mesi fa, quando un’indiscrezione sulla presunta intenzione di Merkel e Sarkozy di restringere l’area della moneta unica escludendo «chi non ce la può fare» fu rilanciata dall’autorevole Reuters ma non ebbe conferme né seguiti.

Nell’ultima settimana, tuttavia, osservando l’andamento dei titoli di Stato dell’Eurozona, il sospetto che stavolta siano i mercati a scommettere su una divisione del Vecchio continente, è forte. Proprio mentre la Ue sta facendo passi importanti verso l’integrazione bancaria, politica e fiscale, gli investitori sembrano aver già compiuto la loro scelta. Ed è cominciata una gara a chi arriva prima: i politici che hanno accelerato per disegnare un’architettura unitaria o il mercato che sta segnalando che quella casa comune è destinata a spaccarsi, premiando determinati titoli e punendone altri.

Daniel Gros, direttore del centro di studi europei Ceps, sdrammatizza. «Non sono mai stato a conoscenza di piani per un “nocciolo duro” dell’euro. Certo, al momento c’è tensione sui paesi periferici», ma per l’economista franco-tedesco «i governi devono andare avanti sulla via dell’integrazione e mantenere la calma. Per l’Italia i rendimenti a questi livelli sono sostenibili per uno o due anni. E la buona notizia è che molti nuovi bond tornano in mani italiane».

Ma è proprio un’occhiata alle aste europee dell’ultima settimana che fa venire ansia. Che i tassi sui bond emessi dalla Germania possano diventare negativi, sulle scadenze brevi, è una tendenza che si osserva da un po’. Ma negli ultimi sette giorni ha fatto notizia che per la prima volta nella storia anche i titoli di Stato francesi, olandesi, austriaci, belgi e finlandesi a due anni siano scivolati su territorio negativo. La «fuga verso la qualità» che si verifica in genere quando la situazione è tesa, ha investito un folto gruppo di paesi e non solo la Germania. E ha creato un «euro-nocciolo» di fatto. Complice, ovvio, la decisione della Bce di azzerare gli interessi sui depositi: le banche hanno cercato riparo nel solido Nord.

Ma allo stesso tempo i rendimenti sui titoli dei partner cosiddetti “periferici”, cioè Italia, Spagna, Irlanda, Grecia e Portogallo, non hanno beneficiato se non marginalmente della montagna di liquidità in giro. E i differenziali tra i tassi sui bond tedeschi e quelli italiani o spagnoli a dieci anni, in particolare, sono rimasti quasi sempre sotto un’enorme pressione. Quest’Europa periferica è rimasta sempre tesissima. «Lo spread tra Italia e Germania riflette effettivamente un pericolo di rottura dell’area euro. E si osserva al momento una evidente frattura tra Nord e Sudeuropa», osserva Angelo Baglioni, economista della Cattolica di Milano. Il mercato sembra segnalare in particolare la convinzione, prosegue l’esperto di titoli di Stato, che anche paesi “non falchi” come il Belgio o la Francia, «in uno scenario di spaccatura della moneta unica rimarrebbero agganciati alla Germania».

Baglioni è convinto anche che ci sia un attuale convitato di pietra degli sviluppi della crisi: la Grecia. Finita fuori dai radar, è destinata a rientrare molto presto: se il giudizio della trojka Bce-Ue-Fmi sarà negativo è a rischio la tranche di aiuti di luglio e dunque la sua possibilità, per l’ennesima volta, di evitare il default e di rimanere nell’euro. Una lettura condivisa anche da Daniel Gros: «la vera incognita della crisi dell’euro continua ad essere, purtroppo, la Grecia».

La Stampa 16.07.12

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“Il rischio politico sulla finanza”, di MAURIZIO MOLINARI

Terminata la «Allen & Co. Conference» a Sun Valley è nel piccolo terminal di Hailey, Idaho, che Thomas Friedman aspetta l’aereo per tornare a Washington. Il consistente ritardo, dovuto all’insolito traffico di aerei privati dei vip, gli offre l’occasione per esprimere forte timore sull’Italia «in bilico fra Monti e Berlusconi». «Avete un buon premier ma è alla guida di una nazione che resta molto instabile» osserva il columist del «New York Times» cronista dell’era della globalizzazione.

Alla base della preoccupazione di Friedman c’è lo stesso fattore «political risk» che ha portato Moody’s ad abbassare il rating dei titoli di Stato italiani, che è risuonato nella sala del «Sun Valley Inn» quando Monti ha confermato che lascerà nel 2013 e che ha tenuto banco negli incontri informali a latere fra il premier e i leader del futuro dell’America, nell’hi-tech come nella finanza, uniti dalla speranza che dopo il prossimo voto l’inquilino di Palazzo Chigi resti lo stesso.

Se l’Italia viene ritenuta un «rischio politico» è per quanto sta avvenendo da qualche settimana a Roma e dintorni: l’aperta ostilità della Cgil a tagli alla spesa pubblica considerati solo un primo passo dal Fmi, la volontà di Silvio Berlusconi di «tornare in pista» nel Pdl avvicinandosi ai circoli più scettici sul futuro dell’Eurozona, le spaccature interne al Partito democratico sull’opportunità di sostenere le riforme del governo e la recente affermazione elettorale del movimento di protesta di Beppe Grillo proiettano l’immagine di una nazione che nell’arco di pochi mesi potrebbe invertire l’attuale corso del risanamento economico, tornando ad essere considerata il maggiore fattore di instabilità dell’Eurozona, come avvenne in novembre al summit del G20 a Cannes. La sovrapposizione fra questo possibile scenario di instabilità politica interna e l’avvenuta entrata in recessione della nostra economia spiega perché il «political risk» italiano evochi la Grecia, spingendo l’economista della «New York University» Nouriel Roubini ad ammonire: «Il caos politico spaventa, basta invocare la lira o i mercati vi puniranno». Friedman e Roubini esprimono opinioni largamente diffuse, come dimostrano le notizie su Berlusconi date dalla tv Msnbc – fra le più seguite sui temi economici – in cui viene descritto nella seguente maniera: «Il tre volte premier dopo aver mantenuto un profilo basso dal momento della sostituzione con Monti, ha annunciato questa settimana che tornerà in prima linea come candidato del centrodestra, impasticciando ancor più la situazione politica» anche perché «ha avuti toni anti-europei, criticato l’austerità di Monti e messo in dubbio l’opportunità di rimanere nell’euro».

Per avere un’idea dei rischi che si corrono indebolendo Monti bisogna ascoltare Jim Reid, stratega economico di Deutsche Bank, quando osserva che «il rating Baa2 assegnato da Moody’s all’Italia è ancora troppo alto, sebbene assai vicino al livello che inizia a impaurire gli investitori». L’Italia è a complessivi nove gradini di distanza dalla perdita dello status di «nazione dove investire» assegnata dalle tre maggiori agenzie di rating perché, oltre a Moody’s, Standard & Poor’s ci classifica «BBB+» e Fitch «A-». Ciò significa che restiamo a pochi passi dall’abisso. Se la tempesta al momento sembra placata è solo per la credibilità del programma di riforme definito da Monti, garantito dalla sua competenza tecnica, ma il momento del cessato allarme arriverà solo quando tali riforme saranno realizzate. Più il «political risk» si manifesta, più il momento della realizzazione delle riforme si allontana, più i pericoli finanziari tornano a manifestarsi. E’ il domino inesorabile frutto di una globalizzazione dell’economia che non consente più il lusso di gestire la propria instabilità politica come se fosse una vicenda privata. Non a caso è stata l’agenzia cinese Xinhua la prima ad attribuire il taglio del rating italiano alle dichiarazioni di Berlusconi sulla volontà di tornare premier. Sono questi i motivi per cui la quota di investitori stranieri nei titoli di Stato continua a scendere, obbligando la Bce e le nostre banche a maggiori interventi.

La Stampa 16.07.12