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L’intervento della on. Manuela Ghizzoni alla prima assemblea del Pd di Carpi

Stasera scriviamo una pagina importante della politica locale: eleggiamo il primo segretario cittadino del Partito Democratico.

Per questo motivo, malgrado le note vicende degli ultimi giorni e delle ultime ore, non focalizzerò il mio intervento su cosa abbia determinato la prematura fine della legislatura, o sui buoni provvedimenti che siamo riusciti a promuovere, e che daranno a breve i loro frutti nonostante la percezioni dei cittadini sia stata quella di una maggioranza inattiva, ostaggio di veti incrociati, distinguo e atti di testimonianza; non mi soffermerò nemmeno sul rammarico di avere lavorato a lungo su provvedimenti che purtroppo resteranno al palo e non vedranno la luce. Ci saranno altre occasioni per parlare di tutto questo. Infine non indugerò, neppure per trovare umano e caldo conforto, sul senso di frustrazione che spesso abbiamo provato in questi 18 mesi e soprattutto in queste ultime settimane.

Intervengo invece per parlare del nostro futuro, proprio come ha sottolineato il candidato segretario, e non solo del futuro che ci aspetta da domani – con una campagna elettorale che si preannuncia aspra ma da giocare fino in fondo, con orgoglio e determinazione – ma anche del futuro più lontano, quello che sarà molto più in là nel tempo, poiché il progetto che ha dato vita al PD ha l’ambizione di essere un progetto durevole per l’Italia che vogliano, un progetto che non risponde a mutevoli tatticismi, ma che risponde ai problemi dell’oggi prefigurando anche le risposte per il domani.

Non voglio proprio pensare a come potremmo affrontare l’oggi – nel pieno di una crisi di governo, nel mezzo dell’ennesimo conflitto tra politica e magistratura, di fronte a un crollo verticale di fiducia dei cittadini nei partiti e nella politica in generale, in vista di una probabile recessione mondiale dalle conseguenze ancora imprevedibili – se fossimo senza un partito nuovo ma già strutturato e pronto a scendere in campo, a cimentarsi nella competizione elettorale imminente. Pensate, se la crisi ci avesse colto ancora intenti a discutere, quale sarebbe stata la nostra capacità di reazione?

Vale la pena di ricordare, qui e ora, le polemiche e le accuse mosse a chi spingeva per accelerare il processo di costruzione del Partito Democratico: “Troppo in fretta” ci hanno detto, “Non si può parlare di contenitore mentre ancora non abbiamo parlato di contenuti”, commettendo ancora una volta l’errore di pensare che la politica possa prescindere dai tempi, come se il tempo non contasse nelle decisioni e nelle scelte della politica. E, ancora, voglio ricordare che, grazie anche alla lungimiranza dei dirigenti Ds e Margherita, abbiamo finalmente rotto gli indugi e dato vita al Partito Democratico che oggi, anche se non del tutto strutturato nei territori, ha già una sua ossatura, una sua consistenza in grado di rispondere alla sfida del centrodestra e persino di correre da solo alle elezioni.

A questo proposito, credo faccia male Berlusconi e, in generale, tutto il centrodestra a dare per scontato quello che scontato non è. E’ vero che oggi i sondaggi sulle intenzioni di voto danno il centrodestra ampiamente in vantaggio ma è altrettanto vero che le incognite sono ancora molte: l’area degli indecisi, quella del non voto, la probabile presenza di nuovi competitori come la Rosa bianca.

Ma in questo scenario c’è una novità vera, rappresentata da noi, che ci siamo assunti la responsabilità di unire e non di dividere, caso unico nello scenario politico italiano. Noi possiamo rappresentare un linguaggio nuovo, una speranza nuova, l’orgoglio di una novità che può risollevare il Paese. E i dati che arrivano, non solo dai nostri territori ma da tutt’Italia, lasciano intendere che questo partito suscita curiosità, aspettative, speranze: da tempo questo non accadeva e nella sua semplicità mi pare si tratti di un elemento tanto prezioso quanto raro.

Fermiamoci solo un secondo a riflettere sul fatto che da tempo in Italia non accadeva che i cittadini sperassero nel futuro attraverso il progetto politico di un partito: noi siamo riusciti in questo e dobbiamo rivendicarlo con orgoglio. Ma ora è necessario che questo patrimonio di attese, di voglia di fare, di passione non venga dissipato dalla mancanza di coraggio, dalla debolezza della volontà, dall’incapacità di decidere che troppe volte ci hanno fermato di fronte alle grandi scelte, soprattutto negli ultimi anni.

Con la nostra determinazione di riformare la politica e rilanciare un Paese stanco e depresso noi siamo l’unica novità, così come inedita è la nostra potenziale capacità di aggregazione, sulla quale tutti gli osservatori concordano, in particolare se ci presenteremo da soli alle urne. Andare da soli non vuol dire però – come qualcuno insinua – presunzione e autosufficienza nei confronti delle altre forze di centrosinistra. Vuol dire invece – come già ha sottolineato Davide – far prevalere le idee sugli schieramenti, vuol dire accordo cogente sui punti precisi di un programma che noi proponiamo agli elettori e sul quale potrà anche esserci l’adesione di altre forze politiche che però dovrà essere convinta. Perché l’esperienza ci ha insegnato che le coalizioni fatte solo per vincere le elezioni o, peggio, per battere l’avversario non servono poi a governare il Paese. E di questo dovremo tenere conto.

Un vero e proprio gruppo dirigente del PD non si è ancora formato. Siamo in una fase transitoria. Tuttavia, se la scommessa del nuovo partito ha senso, come noi tutti crediamo, non la si vince limitandosi a mettere insieme le preesistenti nomenklature, ma creando nuove reti e nuovi spazi, liberando i canali che si sono costruiti fra impegno civile e impegno politico, facendo nuovi investimenti sulle persone che non necessariamente presuppongano una previa identità DS o Margherita. Questo obiettivo lo si raggiunge anche aprendo il nuovo partito alla partecipazione dei cittadini elettori, attraverso strumenti quali le primarie, da utilizzare non occasionalmente, come metodo di selezione dei candidati: ma io credo sia altrettanto necessario fissare regole certe che garantiscano la rappresentanza dei territori, delle competenze e quella di genere.

A questo proposito credo che non si sia ancora abbastanza valorizzato – soprattutto all’esterno del partito – la scelta, culturale e strategica al tempo stesso, di costruire finalmente un partito di uomini e di donne, passando così dalla politica delle buone intenzioni a quella, effettiva, delle pari opportunità, in attuazione finalmente del dettato costituzionale. Il PD ha fatto una cosa straordinaria, perché ha creduto in una presenza delle donne né residuale né accessoria, ma elemento fondante della nuova forma-partito, essenziale per definirne la natura stessa. E con convinzione lo abbiamo sancito nello statuto. Questa è una vera rivoluzione della quale forse non siamo ancora completamente consapevoli. E’ la prima volta che accade, e non solo in Italia, ed è un aspetto che, una volta tanto, ha suscitato l’interesse delle forze progressiste degli altri paesi. Dobbiamo essere maggiormente consapevoli del fatto che, anche da questo punto di vista – quello della politica di genere – il PD costituisce un laboratorio politico di straordinaria importanza, capace di cambiare l’assetto politico-istituzionale del Paese e di anticipare le forme future di partecipazione politica, adeguando la forma partito alla società fluida, globale e multiculturale del XXI secolo. Le donne non si sottrarranno a questa sfida: per far crescere il PD metteremo tutta la nostra passione, la nostra determinazione, i nostri talenti, i nostri linguaggi e le nostre priorità. Dateci spazio: renderemo un servizio allo sviluppo del partito e del Paese.

Ciò detto dobbiamo accelerare ulteriormente la conclusione della fase costituente del partito, con la nascita di tutti i circoli e l’elezione di gruppi dirigenti stabili. Il lavoro che dobbiamo fare diventa anche prezioso per orientare i cittadini sulla crisi di questi giorni, per far capire le ragioni della nostra proposta politica. Quindi questa fase costituente va utilizzata anche come strumento di battaglia politica ed elettorale. E’ una grande occasione per rendere visibile, concreto, palpabile, il corpo del Partito Democratico che in troppi – anche tra le nostre file – continuano a considerare partito ancora virtuale, leggero, privo della solidità e della massa critica che fu dei Ds e della Margherita.

Ma a guardare indietro non si va da nessuna parte. Abbandoniamo le nostalgie. La parola d’ordine di Fassino all’indomani della sconfitta elettorale del 2001 – “o si cambia o si muore” – mantiene tutta la sua drammatica attualità. E stavolta il cambiamento che ci viene richiesto investe i valori, i riferimenti culturali, il DNA del partito stesso.

Il ’900 è definitivamente alle spalle, abbiamo preso con noi per il viaggio un bagaglio leggero, quello strettamente indispensabile, i simboli e le idee da traslocare nella nuova casa comune del riformismo italiano, pochi principi fondamentali, il lavoro, la democrazia, la libertà, la solidarietà che vanno però declinati in modo diverso utilizzando una nuova grammatica, proprio come Davide ha indicato nella parte introduttiva del suo intervento.

L’ultimo punto sul quale intendo soffermarmi, perché lo ritengo uno dei problemi più urgenti che il nuovo partito si trova ad affrontare, è quello della formazione della classe dirigente. La necessità, inevitabile, di un ricambio generazionale, l’ingresso ai posti di vertice – non solo nei circoli ma nelle amministrazioni locali – di personale politico nuovo, proveniente dalla società civile, che non ha ancora maturato esperienza politica e istituzionale, ma anche e soprattutto le sfide che la società contemporanea pone alla nostra attenzione, ci mettono di fronte il tema prioritario della formazione. Che non può essere risolto semplicemente tornando alle vecchie, seppur gloriose, scuole di partito, ma individuando strategie innovative di formazione e che, in particolare, non riflettano la struttura del vecchio partito e quindi la diffusione di un sapere dal centro alla periferia ma, al contrario, favoriscano ed intensifichino una trasmissione di saperi e di competenze “decentrata”, a rete, in modo da tener conto in ugual misura del locale e del globale.

Locale e globale, così come sono risuonati costantemente nella relazione di Davide, una relazione matura dalla quale traspare la capacità di connettere i problemi della dimensione cittadina a quella nazionale e sopranazionale, di congiungere le soluzioni strategiche per il paese a quelle per la nostra città. Si tratta di una capacità non comune, che stasera viene messa al servizio di tutti noi e del Partito democratico di Carpi.

Per realizzare tutto ciò a cui ho fatto riferimento, credo che, con coraggio, ci si debba affidare a una leadership fortemente ringiovanita. È inutile sostenere che l’unità da realizzare nel PD deve superare i conflitti politici dello scorso secolo, se poi tale compito lo si affida a coloro che di quei conflitti furono protagonisti. Solo le giovani generazioni lo possono fare, perché quei conflitti li percepiscono non come passioni, ma come Storia. Del resto, solo loro possono sintonizzarsi con quel futuro di tecnologie, di globalità, di multietnicità di cui i non più giovani (e in questa categoria mi ci metto anch’io) istintivamente, sono indotti a diffidare e che le ragazze e i ragazzi, invece, vivono e hanno vissuto con naturalezza nella scuola, nelle esperienze di tempo libero e nel lavoro.

Questa è una delle ragioni, ma non la sola – come spero si sia compreso nel mio intervento – per cui sostengo con convinzione la candidatura di Davide Dalle Ave alla segreteria del PD di Carpi. Certo, questo non significa che quelli della mia generazione o quelli più maturi di me vadano buttati via. Al contrario abbiamo ancora cose da dire e forse da insegnare ma, forti di questa consapevolezza, dobbiamo adoperarci per lasciar loro spazio a voi, ragazze e ragazzi, che siete il nostro futuro.

Credo, infatti, che Gorge Bayron avesse torto quando scriveva “È triste! È tutto un’illusione. Il futuro ci inganna da lontano. Non siamo più quel che ricordiamo, né osiamo pensare a ciò che siamo” Ciò che siamo, in realtà, siete voi, ragazze e ragazzi del PD, e da questa consapevolezza traggo il conforto e la forza per pensare alle sfide che ci attendono.