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Intitolazione ad Aldo Moro del circolo del PD di via Tassoni a Carpi: sintesi di Marco Bagnoli

Domenica 30 marzo, nell’ambito del “Democratic Day”, si è svolta una breve ma intensa cerimonia per l’intitolazione ad Aldo Moro del circolo del Partito Democratico di via Tassoni, 6 in città.

La scelta del segretario di circolo, Roberto Arletti, sostenuta dagli aderenti al Partito della zona “Due Ponti” e nord-est di Carpi, ha così contribuito a dare un ennesimo segno di cambiamento e novità rispetto al passato con la nascita, anche a Carpi, del Pd.

“Un forte segnale di rinnovamento della politica anche sul piano locale”, ha ricordato Manuela Ghizzoni, candidata alla Camera dei Deputati per il Partito Democratico, che ha pronunciato il discorso ufficiale di intitolazione, ricordando che Aldo Moro con Enrico Berlinguer furono gli artefici dell’incontro tra le forze di sinistra e del cattolicesimo democratico. Originalità e lungimiranza caratterizzavano le basi del dialogo tra le due maggiori forze democratiche e antifasciste – che a tanti allora pareva impossibile – ma la violenza delle armi ne interruppe uno sviluppo positivo per la politica italiana.

 

“Parlare di Aldo Moro oggi, vuol dire ripercorrere un periodo cruciale della storia nazionale – spiega Manuela Ghizzoni – quello compreso tra i primi anni ’60, con la nascita del primo centrosinistra e la fine degli anni ’70, chiusi simbolicamente dal rapimento e dalla morte dello statista democristiano. I contraccolpi di quella tragedia li subiamo ancora oggi, in questa lunghissima fase di transizione, non ancora conclusa, avviata dall’inchiesta di Mani Pulite e con il crollo della così detta Prima Repubblica.” Per Manuela Ghizzoni, riflettere sulla figura e sulla lezione di Aldo Moro significa anche ricordare quella di Enrico Berlinguer e l’opzione politica del “compromesso storico”, con la quale le due grandi tradizioni politiche nazionali, quella cattolica della Democrazia Cristiana e quella comunista rappresentata dal Pci, avrebbero dato avvio alla nuova fase di evoluzione della democrazia italiana. “Il compromesso storico – ricorda Manuela Ghizzoni – fu il primo tentativo, dopo la rottura dell’unità antifascista del 1947 e l’inizio della “guerra fredda”, di riannodare un dialogo tra due grandi forze democratiche e antifasciste per disegnare un orizzonte nuovo per la democrazia italiana. Ad entrambi era chiaro che gli equilibri post-bellici non erano ormai più in grado di reggere e impedivano all’Italia di diventare un paese “normale”, simile cioè alle altre democrazie occidentali dove il ricambio alla guida del Governo è un fatto accettato, senza traumi e senza drammi. Dunque, bisognava andare oltre gli accordi di Yalta e costruire anche per l’Italia la possibilità di divenire una democrazia parlamentare matura, basata sull’alternanza al potere. Serviva quindi un patto che, da una parte, rimuovesse una volta per tutte la conventio ad excludendum che teneva i comunisti fuori dal governo nazionale, e dall’altra, prevedesse per il PCI una critica al modello sovietico e l’ancoraggio della propria politica alle esperienze delle socialdemocrazie europee. Moro e Berlinguer erano consapevoli che la trasformazione del Pci in una forza riformista non poteva avvenire senza il prezzo di una scissione più o meno ampia che lo liberasse dalle pulsioni massimaliste. Una visione profetica che negli anni a venire sarebbe stata confermata dall’evoluzione reale del partito, anche se in forme che entrambi non potevano necessariamente prevedere”.

Avrebbe potuto Moro immaginare l’evoluzione del quadro politico nell’area di centro sinistra del secondo millennio? Impossibile rispondere con certezza, senza dimenticare i gravi rischi che si corrono sempre cercando di comprendere il passato con le lenti e le categorie del mondo contemporaneo. Ma oggi possiamo dire che la nascita del PD non è stata la giustapposizione di due entità distinte ma un processo simile ad una reazione chimica che ha dato luogo a qualcosa di completamente diverso dagli elementi di partenza: “E tuttavia la prospettiva di un dialogo tra riformismi di tradizione e cultura diverse – continua la riflessione di Manuela Ghizzoni – ha qualcosa a che fare con la nascita del Pd, cioè con la costruzione di una forza riformista moderna, di massa, a vocazione maggioritaria, post-ideologica, nata con l’ambizione di tenere insieme sviluppo e solidarietà sociale”.

La sorte di Moro impresse alla storia una direzione diversa da quella che lo statista cattolico e il leader comunista forse immaginavano. E la domanda torna sempre spontanea: cosa sarebbe accaduto se quel 16 marzo del 1978 Moro avesse potuto raggiungere la Camera dove si votava la fiducia per il governo di solidarietà nazionale appoggiato dal Pci? Interrogativi pesanti come pietre, che fanno ritenere ragionevole che davvero il Paese non fosse pronto ad una tale novità del quadro politico, in un mondo diviso dalle ideologie: nell’Italia di allora, spesso, chi aveva una opinione politica diversa continuava ad essere percepito e definito come un nemico. E dialogare con un nemico come capita in tempo di guerra, anche se “fredda”, equivaleva a qualcosa di simile al tradimento.

“Il Partito Democratico nasce anche per cambiare questo modo di concepire la politica. E per cercare di fare dell’Italia un paese “normale”, quindi moderno ed europeo anche raccogliendo l’eredità culturale e politica di Moro e Berlinguer”.