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Segreto di Stato, si aprono gli archivi. Consultabili i documenti con almeno 30 anni. Pubbliche anche le carte su Moro

Segreto di Stato a termine e «liberazione» delle carte ancora riservate sul caso Moro. Alla vigilia delle elezioni il governo Prodi ha emanato l’unico regolamento che poteva fare in attuazione della riforma dei Servizi di sicurezza; sugli altri non è mai arrivato il parere del comitato parlamentare di controllo, e tutto è rinviato alla legislatura che verrà. Dalla prossima settimana, quando il decreto annunciato ieri dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Micheli sarà pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, il segreto di Stato non potrà durare più di trent’anni. In origine saranno quindici, e di fronte ad esigenze particolari potrà essere reiterato una o più volte; la «durata complessiva del vincolo», però, non dovrà superare il limite dei tre decenni. Sulla vicenda del sequestro e omicidio di Aldo Moro invece— di cui in questi giorni ricorre il trentennale, e su cui non esiste alcun segreto di Stato — lo stesso Micheli ha firmato una direttiva destinata a tutte le amministrazioni interessate per la completa declassificazione dei documenti. «E’ una decisione frutto di una precisa volontà di Prodi e del governo dovuta alla rilevanza del caso», spiega il sottosegretario. Ed è la parziale anticipazione di un altro regolamento – bloccato dall’assenza del parere parlamentare – che garantisce la consultazione di atti di servizi segreti, polizia, carabinieri, guardia di finanza e altri uffici, tuttora classificati con diciture che vanno da «riservato » a «segretissimo», in ordine crescente, senza più gli eventuali omissis. Alcuni giacciono negli archivi della commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi (cessata nel 2001), altri in quelle delle diverse amministrazioni.

Che cosa ci sia di utile a svelare gli aspetti ancora misteriosi del rapimento e dell’uccisione del presidente democristiano, ovviamente, si potrà scoprire solo dopo la loro lettura completa. Quello che in passato hanno potuto vedere i consulenti della commissione stragi (legati al vincolo della «non divulgazione») è stato considerato di scarso interesse, ma qualche sorpresa potrebbe arrivare. «Difficile immaginare di scoprire chissà quale deviazione istituzionale – osserva Micheli -, perché se queste cose sono state fatte è probabile che non sia stata lasciata traccia negli archivi. Nel caso Moro come in altre vicende». Quanto ai segreti di Stato, il nuovo limite potrà svelare vecchie vicende sulle quali all’epoca fu imposto lo stop alle indagini dei magistrati, ma non è detto che ciò avvenga in tempi brevi. Perché la decorrenza dei trent’anni non scatta dal momento del fatto di cui si parla, ma da quando il segreto è stato apposto, opposto e confermato dalla presidenza del Consiglio.

Dal 1977 – anno in cui è entrata in vigore la legge che imponeva la segretezza su «atti, documenti, notizie, attività e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recar danno all’integrità dello Stato democratico » – ciò è avvenuto solo una dozzina di volte. Mai, ufficialmente e direttamente, nelle inchieste sulle stragi o il terrorismo (se non per aspetti marginali di esse), e a partire dal 1980. Questo significa che se, col nuovo regolamento, il prossimo capo del governo volesse prolungare al massimo i tempi a disposizione, la prima «caduta» di un segreto di Stato arriverebbe solo nel 2010. Troppe variabili restano in campo, anche dopo il varo del decreto Micheli, per fare previsioni attendibili. «Le inchieste giudiziarie ormai sono chiuse, siamo arrivati in ritardo», lamenta Carlo Mastelloni, ex giudice istruttore di Venezia che indagando su traffici internazionali di armi, terroristi medio- orientali e altre vicende che coinvolgevano generali e colonnelli, è stato fermato diverse volte dal segreto di Stato. Consapevole che comunque, quello che gli si voleva nascondere non l’avrebbe trovato negli archivi: «La vera arma tolta agli inquirenti è stato l’arresto per falsa testimonianza».

Sono stati soprattutto i rapporti con il Medio Oriente in subbuglio a essere coperti. E in una delle relazioni redatte dalla commissione parlamentare chiamata «Mitrokhin», dedicata alla strage di Bologna del 1980, due consulenti affermano che tra il ’74 e il ’79 «vi fu un accordo tra governo italiano e organizzazioni terroristiche palestinesi finalizzato alla prevenzione e alla deterrenza di possibili atti terroristici nel nostro Paese, che è a tutt’oggi coperto dal segreto di stato». I consulenti si riferiscono a interventi governativi del 1984 e del 1988: nel primo caso per mettere una pietra sui rapporti con alcuni gruppi medio- orientali del capocentro del Sismi a Beirut Stefano Giovannone, inquisito nell’inchiesta sulla scomparsa in Libano dei giornalisti italiani Toni e De Palo; nel secondo, per proteggere fonti coperte nell’ambito dell’indagine su una una fornitura di armi dall’Olp di Yasser Arafat alle Brigate rosse. Volendo – e se qualcuno che ne avesse interesse lo richiedesse – il prossimo governo potrebbe già rimuoverli. Chissà se lo farà. Sembra invece destinato a durare a lungo, anche con la nuova disciplina, il segreto sui lavori effettuati a Villa Certosa, la residenza sarda di Silvio Berlusconi, imposto nel 2005 per esigenze di «protezione e sicurezza» dell’allora presidente del Consiglio.

Giovanni Bianconi, Corriere.it