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Pensieri proibiti di un elettore del Nord, di Ferdiando Camon

Da uomo del Nord, parlo qui del Nord con un certo disagio, perché sento il rischio di essere frainteso. Parto dai sindaci. Quando un giornale di sinistra parla di Gentilini, immancabilmente lo chiama sceriffo e lo sfotte come quel rozzo razzista che è, privo di senso dello Stato, incolto nella storia e nel diritto. Ho avuto polemiche feroci con lui, al limite della querela. Ma poi mi chiedo come mai la gente lo elegge sindaco per un numero di volte superiore a quello legale: vuol dire che la città è popolata di cittadini ignoranti, incolti di storia e di diritto, razzisti? E come mai la sua città riceve dalla Caritas il riconoscimento di città dove più perfetta è l’integrazione degli immigrati? Gli immigrati usano il passaparola quando chi è arrivato qui chiama a venire qualche parente rimasto in patria. Allora, chi sbaglia? Treviso o chi la critica? Sbaglia chi la critica. Un conto sono le sparate razziste e le dichiarazioni indifendibili dell’uomo, altro conto è il sindaco che alle 6 del mattino gira per la città addormentata in cerca di guasti da riparare. Lo votano per quel che fa, benché sia quel che è. Se sapessimo questo, capiremmo che il radicamento della Lega non è poi così misterioso.
Bitonci, l’editto anti-sbandati. Ieri ho visto un pullmino di extracomunitari dell’est, in una piazzetta secondaria della mia città, nella cui provincia Bitonci fa il sindaco. Uomini e donne scendevano sgattaiolando via veloci in diverse direzioni, probabilmente in cerca degli amici che li han chiamati qui. Non lo so con certezza, ma l’impressione era che fossero tutti clandestini, pieni di problemi: da oggi i loro problemi sono i nostri problemi, anzi i miei, della mia città. Bitonci vorrebbe controllare questi problemi prima che diventino nostri. Bitonci governa una cittadella carina ma piccola. Tosi governa Verona, che è ben altra cosa. Ma le sue idee non sono diverse. Verona si crede, forse a ragione, la vera capitale del Veneto, perché Venezia non è veneta, non è nemmeno italiana, è extraterrestre, e infatti sta in mezzo al mare. Il titolo di capitale del Veneto a Verona glielo contende Padova, che si ritiene più dotta, con una università incomparabilmente maggiore, e una tradizione più urbana e meno agraria. A Padova il sindaco è Zanonato, un diessino. Zanonato è quello dei muri. Sono andato a vedere i muri, e mi son sembrati l’unica cosa da fare. Hanno un senso. Cofferati sradica gli insediamenti abusivi, Zanonato li sigilla. Ma il problema c’è. Gli abitanti del Nord-Est credono, a ragione, che i sindaci governino meglio del governo nazionale, stavo per dire romano. I sindaci inventano soluzioni tra le pieghe delle leggi romane, di per sé le leggi non permettono soluzioni, lasciano che i problemi della sicurezza crescano fino a insidiare le famiglie dentro le case. Quali case? Delle periferie anzitutto, perché il centro è protetto per il modo stesso in cui è fatto, compatto e impenetrabile. E chi ci abita nelle periferie? Gli operai. Allora il problema della sicurezza è anzitutto un problema degli operai, dei piccolo borghesi, dei lavoratori mal-pagati e dei precari. Il Pd pensava di avere lì un serbatoio di voti. Sorpresa, una parte non piccola di quei voti vanno alla Lega. Ma appunto perché la Lega, partito del territorio, è nata per rispondere ai problemi del territorio. Sto per dire una bestemmia, ma ormai ho profanato tutto: un operaio di Treviso, Vicenza o Verona si sente più protetto da un sindaco leghista che diessino. Anche economicamente. Qui si fa un gran parlare del federalismo fiscale, che, detta in soldoni, va così: siamo una famiglia, un padre con due figli, uno che lavora di più e uno di meno, naturalmente il primo porta in casa più soldi, ma il padre prende i soldi dei figli, ne fa un monte unico, e lo divide per due. Il figlio che porta di più ha la tentazione di andarsene, per adesso protesta e dice: chi porta di più deve tenersi di più.
Il Pd pensa che, oltre ad essere in contrasto con l’idea di Stato unitario, questo ragionamento sia della buona borghesia del Nord, ma non dell’operaiato. Sbaglia. È anche degli operai. Gli operai lavorano, molti, per aziendette locali, e pensano, a ragione, che se il territorio diventa più ricco loro maneggeranno più soldi. Pensano anche un’altra cosa: che queste cose si capiscono vivendo nel luogo, e che il Pd, nato a Roma, non le capisce. Bisognerebbe che nel Veneto e nel Friuli ci fosse un Pd nato in loco, magari in conflitto con quello romano. Perché dove c’è contrasto fra territorio e Roma, chi rappresenta il territorio deve scegliere il territorio. Un Pd locale lo vuole Cacciari, lo vuole Mario Carraro, lo vuole Illy, lo vogliono i politici illuminati del Nord-Est. Ma non nasce, non marcia, non c’è. Una volta si pensava di far nascere una “Lega buona”, il Movimento per il Veneto. Ma non è nato, troppo osteggiato da Roma. C’era Mario Carraro, c’era Cacciari, c’era il rettore dell’università Muraro: è andato tutto in fumo. Siamo ancora qui, ad aggirarci trai fumi di quei fallimenti. Il disastro elettorale è il più recente, ma non sarà l’ultimo.

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