partito democratico

La battaglia del federalismo, di Stefano Fassina

Il tema è rilevante innanzitutto perché l’attuale assetto federale come disposto dal Titolo V della Costituzione, approvato in fretta ed in chiave elettorale dal centrosinistra nel 2001, non funziona e va rivisto: la confusione generata dalle “materie di legislazione concorrente” nel migliore dei casi complica, ma molto spesso paralizza, l’intervento pubblico in ambiti fondamentali per i diritti dei cittadini e decisivi per le performance delle imprese (si pensi, solo per fare qualche esempio dell’assurda estensione della concorrenza legislativa, alle politiche di previdenza complementare, alle politiche per le infrastrutture, alle politiche energetiche, ecc). In secondo luogo, il tema del federalismo finanziario è rilevante in quanto, opportunamente declinato, è condizione per rafforzare la partecipazione democratica dei cittadini secondo il principio della sussidiarietà e per migliorare l’efficienza e l’efficacia delle amministrazioni pubbliche secondo il principio autonomia-responsabilità politica. Non a caso, il Governo Prodi a metà 2007 approvò, dopo una lunga e faticosa discussione con la Conferenza Unificata Stato-autonomie territoriali, un Disegno di Legge Delega, poi bloccato, come tanti altri provvedimenti innovativi seri, dalle contraddizioni e dalla fragilità dell’allora maggioranza di centrosinistra. Infine, il tema è rilevante, perché usato da alcune forze politiche rilevanti (la Lega Nord è indubbiamente tale) come strumento non per migliorare, ma per annullare il patto scritto nella Costituzione della Repubblica e per ridimensionare, fino ad una dimensione simbolica, le fondamenta dello stare insieme degli italiani. Infatti, la Lega propone un ordinamento federale articolato in tre Euroregioni, dotate di “sovranità esclusiva…in termini di potere legislativo, amministrativo, giudiziario”, dopo aver preso atto che “il processo di disgregazione e di dissoluzione dello Stato nazionale…. procede a ritmi sempre più rapidi ed è ormai giunto al capolinea….. che lo Stato ha abdicato alla propria sovranità in molte realtà regionali e in plurime circostanze (le così dette -e orami quotidianamente all’ordine del giorno- ’emergenze’: rifiuti, immigrazione, ecc)….che, a partire dagli anni Novanta, è sotto gli occhi di tutti la suddivisione del Paese in tre grandi unità regionali, omogenee ed affini dal punto di vista economico, sociale e culturale”.
Data la posizione delle Lega, la discussione di questi primi giorni post shock elettorale è surreale. Non pochi esponenti del Pd, in vista degli immancabili talk show, si affannano a capire i dettagli tecnici del disegno federalista della Lega, si misurano con aliquote di compartecipazione alle principali imposte erariali e con l’elenco dei tributi da trasferire a Regioni, Province e Comuni. Non affrontano in via preliminare la questione di fondo posta dalla Lega e da una parte di quanti l’hanno votata: vogliamo rilanciare su basi adeguate l’unità della nazione o condividiamo la lettura della dissoluzione irreversibile della Stato nazionale? Di conseguenza, a che cosa finalizziamo il federalismo finanziario? Quali materie vogliamo attribuire alla competenza delle autonomie territoriali? Quali diritti essenziali e quali funzioni fondamentali riteniamo debbano essere garantite sul territorio nazionale, indipendentemente dalla capacità fiscale di ciascun territorio?
Il manifesto elettorale della Lega indica che “indipendentemente dalle competenze costituzionali, le singole Regioni hanno diritto di affrancarsi dallo Stato centrale per l’ottenimento dell’autonomia fiscale”… “allo Stato centrale sono attribuiti: il 50% delle imposte dirette (Irpef ed Ires), il 50% dell’Iva, le accise su tabacco, alcolici e sugli olii minerali, l’imposta di bollo, le imposte sui capitali e le assicurazioni, i dazi doganali. Di competenza delle Regioni sono: il 50% delle imposte dirette (Irpef ed Ires), il 50% dell’Iva, l’imposta di successione e donazione, le imposte sugli immobili, le tasse sui giochi, la tassa di circolazione, l’imposta di registro, l’imposta sugli spettacoli, l’Irap.”… “Ogni Regione può autonomamente decidere per quale quota di imposte affrancarsi con un limite massimo del 90% del proprio gettito territoriale”.
Nella proposta della Lega, ma anche in quella approvata dal Consiglio Regionale della Lombardia, la portata dello spostamento di risorse dall’ambito nazionale agli ambiti territoriali è tale da svuotare di funzioni il Governo nazionale e da eliminare ogni possibile significativa applicazione dei principi di solidarietà e coesione sociale previsti dalla Costituzione. È tale rendere impraticabile la promozione e tutela di diritti essenziali e l’effettivo esercizio di funzioni fondamentali sul territorio nazionale. Per una ragione semplice: la capacità fiscale dei territori italiani è molto diversa e ha cause molto profonde, difficilmente reversibili nel periodo di transizione immaginato: ad esempio, in termini di Irpef pro-capite, la Lombardia versa 3 volte l’importo della Calabria; per l’imposta pagata dalle società di capitali, il rapporto tra quanto versato per abitante in Calabria e in Lombardia è 1 a 10; per l’Iva (misurata sui consumi finali di ciascuna regione), tale rapporto è 1 a 2. In sintesi, anche un rapido superamento delle enormi “inefficienze” amministrative presenti nelle regioni a minore capacità fiscale, ossia anche il passaggio dal criterio della spesa storica al principio del costo standard per determinare i flussi di trasferimenti dal bilancio dello Stato ai bilanci delle autonomie territoriali, lascerebbe molte regioni italiane prive delle risorse necessarie a garantire parità di diritti costituzionali.
La discussione sul federalismo finanziario non deve avere il Pd come spettatore, in attesa della eventuale esplosione delle contraddizioni della maggioranza. Al contrario, il Pd deve insistere affinché il tema sia inserito quale primo punto dell’agenda delle riforme istituzionali, ossia dell’agenda da affrontare in via bipartisan. Che senso ha continuare a chiedere di fare insieme la legge elettorale, la riduzione del numero dei parlamentari, la revisione della divisione di poteri tra esecutivo e legislativo, quando una parte intende ridefinire da sola le basi materiali dell’unità della Repubblica? E noi del Pd, prima di fare il Partito del Nord, non dovremmo dire che Paese vogliamo essere?
www.stefanofassina.it

L’Unità,  20 aprile 2008