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“Nucleare sicuro e pulito. Ma ci possiamo credere?” di Pietro Greco

 

Mentre il Ministro dello Sviluppo Scajola avverte che il governo italiano non tornerà indietro sulla scelta dell’atomo e la collega Prestigiacomo, Ministra dell’Ambiente, gli fa eco minimizzando l’incidente della centrale slovena, noi proviamo a farci un’idea anche leggendo l’articolo di Pietro Greco.

 

Non abbiamo corso, in nessun istante, alcun rischio Chernobyl, mercoledì sera in seguito all’incidente registrato presso la centrale nucleare di Krsko, in Slovenia. Né oggi, dopo aver saggiato le capacità di pronto allerta dell’intera Europa, abbiamo alcun motivo realmente nuovo per modificare il nostro giudizio, negativo o positivo che sia, sul rilancio del nucleare civile in Italia.

Sono queste, in sintesi, le due valutazioni che possiamo fare a un giorno di distanza dall’allarme lanciato dall’Ecurie (European community urgent radiological information exchange), il sistema di «early warning» che la Ue si è data con la Svizzera e la Croazia) per scambiarsi le informazioni necessarie ad affrontare un’eventuale emergenza nucleare nata in uno dei suoi 27 stati membri.Per portare degli argomenti a sostegno di queste due valutazioni possiamo provare a rispondere ad alcune domande.

Che tipo di incidente è stato quello di Krsko?
Gli incidenti nucleari vengono classificati, di solito, in una scala che va da 1 a 7 (scala INES): da un’anomalia minore che fa scattare l’allarme (livello 1) alla fusione del nocciolo e, quindi, al disastro tipo Chernobyl. La Slovenia usa una classificazione che va da 1 a 4. Ebbene secondo quanto riferito dall’Agenzia nucleare slovena e registrato sia a Bruxelles, in sede di Unione europea, che a Vienna, dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), l’incidente è stato del livello minore. Di livello 1: quello di un’anomalia che non ha generato effetti né sulle persone né sull’ambiente. A quanto pare, si è verificata una perdita di acqua dell’impianto di raffreddamento che è rimasta confinata all’interno della centrale.

Certo, questa affermazione presuppone che le autorità slovene abbiano detto la verità. E più diffidenti ricordano che a Chernobyl le autorità sovietiche non dissero la verità. Anzi, negarono fino all’ultimo la gravità dell’incidente. Ma le due situazioni sono del tutto incommensurabili. L’Unione Sovietica non aveva ancora conosciuto la glasnost che Gorbaciov lanciò proprio dopo l’incidente. La Slovenia è un paese democratico, che agisce all’interno di una comunità e che confina con una serie di altri paesi che possono facilmente verificare l’attendibilità delle informazioni. Non c’è davvero ragione di credere che le cose stiano in maniera radicalmente diversa rispetto alla versione che ne dà Lubiana.
Solo l’Austria ha lamentato un tentativo di minimizzare l’evento da parte delle autorità slovene. Ma nulla di paragonabile alla disinformazione sovietica. In ogni caso fino a questo momento nessuno ha misurato – né in Slovenia, né in Austria, né in Italia, né in Croazia – alcun aumento di radioattività.

C’è stato il rischio che l’incidente potesse salire di livello e diventare più grave?
Secondo le autorità di controllo, slovene ed europee, l’allarme è stato prontamente lanciato e la procedura per arrestare la centrale attuata in maniera corretta. Cosicché, nei limiti in cui è possibile rispondere a una simile domanda, occorre dire di no. In nessuna fase l’incidente ha rischiato di aggravarsi.

Simili incidenti sono frequenti?
Abbastanza. Basti considerare che secondo Greenpeace dal 1990 a oggi si sono verificati nel mondo almeno trenta incidenti gravi, con rilascio all’esterno di materiale contaminato. Ci sono stati verosimilmente centinaia di incidenti del livello 1, come quello di Krsko. L’unica novità di ieri è che, essendo avvenuto in uno dei 29 paesi di Ecurie, l’incidente di Krsko è stato notificato agli altri ed è diventato giocoforza di pubblico dominio.

Che tipo di centrale è, quella slovena?
È una centrale ad acqua pressurizzata di piccola taglia, con una potenza di 632 megawatt, realizzata dalla società americana Wastinghouse e inaugurata nel 1983. Ha 25 anni ed è dunque una centrale di vecchia generazione. I sistemi di sicurezza non sono sofisticati. Anzi, secondo alcuni esperti, in passato avrebbe avuto problemi in questo senso. Per questo sarebbe entrata in funzione con cinque anni di ritardo rispetto alla data prevista. E per questo nel 1993 fu visitata da un’apposita commissione internazionale che elaborò un elenco di 74 raccomandazioni da seguire per farla rientrare nelle norme europee. Bisogna dire che mercoledì la centrale ha risposto proprio come previsto e ha dimostrato, almeno in questo frangente, di aver raggiunto gli standard di sicurezza europei.

Dall’insieme di queste risposte dovremmo dunque ricavarne, come hanno sostenuto alcuni esponenti del governo Berlusconi, che tutto va bene e che occorre procedere verso il rilancio del nucleare di terza generazione in Italia?
Niente affatto. I problemi di fondo del nucleare di terza generazione non sono tanto quelli della sicurezza (elevata secondo alcuni, comunque con un rischio inaccettabile secondo altri), quanto quelli della produzione di scorie, dell’economicità e dell’accettabilità sociale. Sono questi tre i problemi ancora aperti ed è a questo livello che deve continuare la discussione.

Ultima domanda: con il nuovo nucleare di quarta generazione, gli incidenti simili alla centrale di Krsko sarebbero ancora possibili?
Il quesito meriterebbe un notevole approfondimento. Non fosse altro perché stiamo parlando di «un nucleare che ancora non c’è». Tuttavia possiamo dire che una centrale sarà di quarta generazione solo se elimina del tutto il rischio di incidenti gravi, diciamo dal livello 4 al livello 7 della scala INES. Lo faranno – se lo faranno – grazie a impianti più piccoli, a sicurezza intrinseca dove non c’è possibilità di fusione del nocciolo.
Tuttavia tratteranno pur sempre materiale radioattivo, sia pure in quantità minore. Cosicché incidenti minori, paragonabili a quelli di Krsko, saranno sempre possibili. Il problema è se – comparati con altri rischi legati ad altre fonti di energia – diventeranno socialmente accettati.

L’Unità 6 giugno 2008

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