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«Santa Rita, da Mengele a Ponzio Pilato», di Lidia Ravera

Non c’è essere umano più inerme, vulnerabile, fragile di una persona malata. Non può appoggiarsi a nessuna delle sue sicurezze, né il prestigio sociale, né il danaro, né la bellezza o il talento. Non può cavarsela da sé, si deve affidare. E a chi si affida? A uno specialista, a un chirurgo, a un’anestesista, a una struttura ospedaliera, pubblica o privata, all’infermiera di turno. Non è più, per una fase che spera il più breve possibile, padrone della sua vita, non è più indipendente. Ha bisogno degli altri, di tutti, medici e paramedici. Saranno bravi? Saranno competenti?
Sbaglieranno sulla sua pelle o faranno bene e gliela salveranno? Decide che deve fidarsi, se no diventa matto. E allora chiude gli occhi, si fa bambino,obbedisce, si sottopone alle cure, si sottomette ai verdetti.
Approfittarsi di una persona così, di una persona ridotta dalla malattia ad uno stato di minorità, è il più odioso di tutti i crimini possibili, e di crimini odiosi ne abbiamo visti e commentati tanti, in questi tempi di diffusa amoralità. Alcuni sanitari della clinica S. Rita di Milano si sono macchiati di questo crimine. Hanno fatto commercio della vita, della salute, dell’integrità fisica di esseri umani che si erano rivolti a loro per essere curati, guariti o aiutati a soffrire il meno possibile. Hanno approfittato della propria competenza e di quell’aura di mistero che spesso circonda la professione medica (a partire dalle pratiche più modeste, perfino quella di scrivere ricette, con una calligrafia – chissà perché – sempre incomprensibile) per fare i propri interessi, per guadagnare più soldi, per incassare sovvenzioni, truffando quindi i cittadini due volte, come singoli individui nella persona fisica dei malati, e come parte della collettività, perché hanno derubato lo Stato. Anche grazie alle contestate intercettazioni telefoniche (che Dio ce le conservi), sono stati smascherati e adesso, nel corso degli interrogatori, che cosa dicono a loro discolpa? «Ma io ho obbedito agli ordini». La frase è tristemente nota. L’abbiamo sentita al Processo di Norimberga, dalla viva voce degli ufficiali nazisti che prestavano servizio nei Campi di Concentramento. L’abbiamo riascoltata quando sono saltati fuori gli abusi sui prigionieri a Guantanamo. E poi di nuovo a proposito dei “fatti di Genova”, nel corso dei processi per l’ingiustificata crudeltà con cui sono stati colpiti ragazzi inermi, colti nel sonno, dopo una legittima manifestazione. Scagionarsi dichiarando di aver “obbedito agli ordini”, se è tolerabile in guerra, e anche per questo ogni guerra va rifiutata, è del tutto ingiustificabile in tempo di pace. Figuriamoci, poi, se è accettabile nel luogo destinato a salvare vite, portare sollievo, comprendere e limitare la sofferenza! A che cosa si deve obbedire, a chi, in una Casa di Cura? Al giuramento di Ippocrate o agli ordini del notaio Pipitone, proprietario del “negozio” in cui si commercia in carne umana? Spero che i Pm Pradella e Siciliano (due donne) non abbiano pietà per gli “obbedienti” dottori. Che li considerino per quello che sono: dei degenerati, feccia, gente marcia. Spero che li puniscano in modo esemplare, per riportare un po’ di serenità fra i vecchi, fra i malati, che, giustamente, oggi temono più la cura della malattia. Che lo scrivano sui giornali, che cosa hanno detto a loro discolpa: abbiamo obbedito agli ordini… si usava così… lo facevano tutti… non potevo mica oppormi… capirà… se non tenevamo un certo ritmo di operazioni toste, di quelle complesse e gravi, non raggiungevamo il punteggio, eravamo fuori dalla Coppa dei Marpioni, e allora addio migliaia di euro, bye bye milioni…
Eccoli qua, i nostri doctor House, i nostri eroi, eccoli “i medici in prima linea”. Nemmeno il coraggio di mettersi in ginocchio e chiedere perdono. Alla donna a cui hanno tolto un seno, rovinandole la vita, così, per qualche dollaro in più. All’anziano che hanno ammazzato perché tanto a quell’età si può anche morire e a noi fa comodo un bollino, un punto-chirurgia, un rimborso. Come i nazisti si nascondono dietro una macchina di cui sarebbero umili rotelle, come i nazisti non hanno pietà per le loro vittime. Odiano i malati come i nazisti odiavano gli ebrei? Nemmeno. Perfino l’odio sarebbe una spiegazione. Invece no.
Niente odio, qui c’è soltanto indifferenza e avidità. Hanno commesso i crimini che hanno commesso per futili motivi e ora scaricano le colpe uno addosso all’altro per viltà. È stato lui, non sono stato io, io ho visto, ma non potevo intervenire, io sono impotente, io non conto niente… bello spettacolo anche questo. Dalla teutonica follia del processo di Norimberga siamo scivolati verso il più casereccio teatrino dello Scaricabarile. Mentre la barca affonda chiunque cerca di buttare a mare tutti gli altri nel nobile tentativo di montare sull’unica scialuppa disponibile, quella degli irresponsabili, complici per inettitudine, baciati dalla grazia del menefreghismo. E salvarsi la pelle, le chiappe, la carriera, perché, in fondo, siamo tutti peccatori. Perchè il mondo, ormai, va come va… Fra Mengele e Ponzio Pilato.

L’Unità 14.6.2008

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