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“Enti locali, la grande sfida del Pd”, di Paolo Fontanelli*

Nella relazione all’Assemblea nazionale, Walter Veltroni ci ha richiamato alla “grandissima responsabilità” che grava su tutto il gruppo dirigente del Pd alla vigilia due grandi appuntamenti elettorali nel 2009: quello per il Parlamento Europeo e il turno delle elezioni amministrative.
Ricordiamo che tra circa un anno si voterà per il rinnovo dei Sindaci e dei consigli comunali in 4244 comuni, di cui 27 capoluogo, in 62 Province e una Regione.

È evidente che tali passaggi saranno fondamentali anche nel processo di strutturazione e radicamento del Pd nel territorio. E allo stesso tempo bisogna sapere che la possibilità di costruire un risultato elettorale positivo, che contrasti e inverta la tendenza pesantemente negativa che abbiamo riportato nelle elezioni amministrative del 2007 e del 2008, è legata alla capacità di rilanciare un forte e credibile rapporto con le comunità locali. Certo questo non può avvenire al di fuori del recupero di un’iniziativa politica che sappia coniugare il progetto riformatore del Pd con una visibile e qualificata battaglia di opposizione. Qualificata perché caratterizzata da una visione complessiva dei problemi dell’Italia e da una percepibile azione propositiva. Un partito che parli di più dei problemi e delle prospettive del Paese che non di se stesso.

E comunque non sarà una battaglia facile perché l’onda lunga delle elezioni politiche può non esaurire la sua spinta così rapidamente; anche perché animata da un disegno culturale e sociale che ha una certa profondità nella società italiana e nei suoi processi di frammentazione e corporativizzazione. Ma proprio per questo la nostra sfida diventa più importante e impegnativa sul piano locale, perché è proprio dal recupero di un forte e incisivo ragionamento sul valore delle autonomie locali che si possono indicare i contenuti per contrastare gli orientamenti che fanno leva sugli egoismi sociali e territoriali e che spesso vanno a braccetto con le paure e le insicurezze di cui tanto parliamo. Autonomia locale significa per noi attenzione e legame con le domande e i bisogni della comunità e, insieme, assunzione di responsabilità e di spirito solidaristico. Sono gli ingredienti principali per salvaguardare la convivenza e la tenuta civile di ogni realtà territoriale.

I nostri programmi locali dovranno parlare di queste cose: dei progetti di sviluppo, della qualità urbana ed ambientale e dei servizi ai cittadini. Proprio in questi giorni il Censis ci dice che tra gli italiani «cresce un bisogno di Stato e di intervento pubblico» come risposta all’insicurezza ed all’incertezza del futuro. Si chiede più protezione che è anche inevitabilmente più servizi pubblici. E qui siamo già nel cuore della battaglia politica che investe la demagogica manovra economica di Tremonti. E siamo di fronte anche all’esigenza di fare i conti con il contenimento e la riqualificazione della spesa pubblica.

Tuttavia su questi temi il nostro compito è quello di elaborare ed indicare proposte in grado di incorporare le domande e le esigenze di innovazione che vengono avanti. Ed è a partire dai contenuti programmatici che si debbono definire le alleanze e non viceversa. Ed in cima a questi contenuti ci deve essere l’impegno per garantire coesione e governabilità.

Ma tutto ciò non basta, sappiamo bene che nelle elezioni amministrative un fattore determinante sono le candidature. Così come un dato indiscutibile, provato e verificato in tantissime occasioni, è la capacità degli amministratori, i sindaci innanzitutto, di stare in sintonia (e anche in simpatia) con i cittadini della loro comunità; spesso incide di più dimostrare una disponibilità all’ascolto ed al rapporto diretto che non un progetto o un’opera pubblica.
Allora le candidature devono corrispondere all’esigenza di costruire un percorso di popolarità ed il metodo della selezione attraverso le primarie fa parte di questo disegno. Tra l’altro l’articolo 18 dello Statuto del Pd ne indica con precisione le regole fondamentali.
Anche la differenziazione che viene prevista tra primarie tra nuove candidature e primarie in cui si ripresenta il sindaco o il presidente uscente è indicativa. Non tanto per una ragione procedurale quanto per un dato politico. È ovvio che quando si ripresenta agli elettori un’amministrazione che ha fatto un mandato, il giudizio non è più solo sulla persona ma sul lavoro svolto dalla sua amministrazione e dalla sua maggioranza. Una bocciatura equivale alla verifica negativa su quella esperienza (ed è un formidabile argomento per l’opposizione) ecco perché lo Statuto differenzia: perché il bilancio del lavoro di un mandato deve essere sottoposto nel modo più aperto ad una reale discussione nel partito, nella coalizione di maggioranza, tra i cittadini/elettori.

Attraverso questo percorso le primarie acquistano un forte senso politico ed impegnano tutti ad una riflessione ed a una partecipazione consapevole. Sarebbe invece poco utile o anche negativo seguire la strada di delegare interamente alle primarie senza confronto politico, il compito di scegliere i candidati più adatti. Così come assai poco lungimirante sarebbe la riproposizione di schemi e di equilibri che mettano in secondo piano “la qualità e la presa reale”, in termini di consenso, dei candidati. Anche per questo credo che ritornando all’importanza della sfida di cui parlavo all’inizio sia necessario, soprattutto nelle realtà dove siamo forza di maggioranza e di governo, promuovere al più presto conferenze di verifica sul lavoro fatto e sullo stato di attuazione dei programmi.

Un rendiconto pubblico sul quale sviluppare un confronto, volto anche ad individuare i punti critici e le correzioni possibili nei pochi mesi che ci sono davanti. È un modo per affrontare anche i cambiamenti ed i nuovi problemi da mettere al centro dell’elaborazione per il prossimo mandato. È un modo per parlare concretamente di politica e del ruolo del Pd. Molto di più che non mettersi fin da ora a parlare solo di candidature.

*Responsabile Nazionale Enti Locali Partito Democratico