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La manovra approvata: un giudizio d’insieme

Ieri è stata approvata quella che con un eufemismo è stata chiamata la manovra estiva. In realtà non c’è niente di più autunnale, se proprio dobbiamo cercare un riferimento stagionale che renda conto di quanto è depressivo il provvedimento fortemente voluto da Tremonti, del decreto approvato con la fiducia della maggioranza e la sfiducia degli italiani.

Vi propongo in allegato la nota sintetica curata dal Comitato economica e finanza del PD.

Manuela Ghizzoni

 

 

 

 

Una manovra sbagliata nel merito e nel metodo

Come avevamo denunciato al momento della presentazione, continuiamo a ritenere sbagliata ed inadeguata la manovra. Nel metodo, perché si tratta di un provvedimento che il Parlamento ha dovuto esaminare in tempi ridottissimi e che è stato approvato ricorrendo a ben tre voti di fiducia, impedendo così alle Camere la necessaria discussione data l’estrema ampiezza e rilevanza delle misure contenute. E le forzature non si sono fermate qui, visto che con un emendamento del Governo sono state modificate le regole di emendabilità della finanziaria e che si consente a decreti ministeriali di modificare decisioni assunte con la legge di bilancio, seppure in via transitoria. Per non dire del tentativo di presentare anticipatamente il disegno di legge finanziaria, fortunatamente bloccato dal Quirinale perché l’attuale sistema di contabilità generale richiede che la finanziaria sia presentata contestualmente al progetto di bilancio a legislazione vigente.

Ma giudichiamo la manovra sbagliata soprattutto nel merito, perché non è all’altezza dei problemi del Paese ed è controproducente ai fini dell’aggiustamento della finanza pubblica e non affronta le vere priorità: l’anemia della crescita e la perdita di potere d’acquisto dei redditi da lavoro e pensione.

Anzi, la manovra rischia persino di compromettere le possibilità di ripresa. Infatti, essendo impostata prevalentemente sui tagli alle spese, colpisce fortemente quantità e qualità dei servizi sociali, taglia pesantemente le risorse per scuola, sanità e sicurezza, rischia di peggiorare la condizione delle famiglie. D’altra parte, non c’è nessuna misura di sostegno alla domanda interna, né in termini di sostegno agli investimenti né in favore della riduzione della pressione fiscale sui redditi da lavoro e da pensione

In particolare, dopo i tagli del decreto Ici, non vengono previsti nuovi finanziamenti per le infrastrutture e, per quanto riguarda il sostegno dei redditi, l’unica misura è quella, compassionevole, della “social card”, finanziata però per il solo 2008 e per soli 200 milioni di euro. Se il Governo avesse realmente voluto sostenere i redditi dei pensionati avrebbe piuttosto dovuto agire sulla quattordicesima, il beneficio concesso lo scorso anno dal Governo Prodi e che ha consentito, lo scorso luglio, a oltre 3 milioni di pensionati di percepire una somma compresa tra 336 a 504 euro Il recupero del potere d’acquisto dei redditi fissi è, invece, una reale urgenza, specie alla luce degli ultimi dati dell’Istat sull’inflazione (+4,1 per cento nel mese di luglio) e dell’Ocse sulle condizioni ed i redditi da lavoro, del 20 per cento inferiori alla media Ocse.

Questa situazione sarà aggravata dalla scelta di indicare un tasso di inflazione programmata per il 2008 dell’1,7 per cento, una previsione totalmente irrealistica che – se applicata – comporterebbe sulla retribuzione media una diminuzione programmata dei salari di circa 1.000 euro per il biennio 2008-2009. Siamo di fronte a un obiettivo troppo basso, che rischia di generare conflittualità, ritardi nella negoziazione, incertezze, e, inevitabilmente, effetti negativi sugli investimenti e sui consumi.

Interventi di miglioramento del potere d’acquisto di lavoratori e pensionati migliorerebbero la distribuzione dei redditi e la domanda interna. Nella scorsa legislatura, le imposte sulle imprese sono state significativamente ridotte. Adesso, nella difficile fase in corso, si sarebbe dovuto intervenire sugli sgravi fiscali sui redditi da lavoro e da pensione. Il PD ha proposto emendamenti per incrementare l’ammontare delle detrazioni sui redditi dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, più consistenti sulle fasce di reddito medio-basse, e prevedendo meccanismi per recuperare l’incapienza, ma questi emendamenti sono stati puntualmente respinti dalla maggioranza.

La previsione di crescita, talmente basse da far pensare che il primo a non credere all’efficacia delle misure varate, risente delle misure presenti e di quelle assenti dai decreti legge precedenti. È stato vanificato il credito di imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno, sono stati svuotati i Fondi per Industria 2015, sono stati tagliati gli investimenti per le infrastrutture in Sicilia e Calabria per 2 miliardi di euro.

 

Una manovra di tagli

Quella dei tagli è anche la filosofia della manovra. Dal lato delle spese, infatti, non si ritrova un vero disegno qualitativo di razionalizzazione e di eliminazione di sprechi. Al contrario, l’approccio è esclusivamente quantitativo, in cui le misure hanno esclusivamente natura di vincoli finanziari e in cui si rimanda ai prossimi provvedimenti l’indicazione puntuale delle modalità per la loro realizzazione. Per il raggiungimento di questi obiettivi sarebbero invece essenziali misure volte ad aumentare l’efficacia e l’efficienza delle strutture pubbliche, in assenza delle quali è altamente probabile che i tagli si rivelino inefficaci, come dimostra l’esperienza del quinquennio 2001-2006 (si ricordino i metodi Gordon Brown, i tagliaspese, ecc). In sostanza si colpisce alla cieca con tagli che o non sono credibili – e allora l’obiettivo di risanamento non sarà raggiunto – o non sono sostenibili e rischiano di compromettere la funzionalità della pubblica amministrazione.

I risparmi di spesa riguardano per circa la metà le Amministrazioni centrali e derivano da tagli degli stanziamenti per le grandi “missioni” in cui si articola il bilancio dello Stato.

Quasi un terzo delle minori spese riguarda gli enti territoriali. Dalla revisione del Patto di stabilità interno, si attendono risparmi crescenti, da 3,2 miliardi nel 2009 a 9,2 miliardi nel 2011. Sono tagli rilevantissimi che, sommati al minor gettito derivante dall’abolizione dell’Ici sulla prima casa (come noto, solo parzialmente rimborsato ai comuni) produrranno inevitabili conseguenze non solo e non tanto sugli sprechi e le inefficienze, ma anche sui servizi a garanzia di diritti sociali (dalle mense nelle scuole, agli asili nido, dai trasporti pubblici locali all’assistenza agli anziani non autosufficienti) e civili.

Le modalità di conseguimento dei risparmi nell’ambito della spesa sanitaria, fermo restando il pieno rispetto dei Piani di rientro, sono demandate alle Regioni, nell’ambito di un accordo con lo Stato: in caso di mancato raggiungimento dell’obiettivo è comunque previsto l’aumento automatico delle aliquote dell’addizionale regionale all’Irpef e dell’IRAP. Il contributo statale alla soppressione del ticket ammonta a 400 milioni, coperti con la ulteriore riduzione degli stanziamenti per le missioni dei ministeri rispetto al testo iniziale del decreto. Per la soppressione integrale sarebbero, però, stati necessari altri 434 milioni: quindi o le Regioni troveranno le risorse necessarie oppure saranno comunque previste forme di compartecipazione dei cittadini al costo delle prestazioni.

Nella manovra varata sono anche presenti pesanti tagli sui settori della conoscenza, in particolare sulla scuola pubblica. Il decreto fissa come obiettivo, a regime, l’aumento da 8,9 a 9,9 del rapporto tra alunni e docenti e la riduzione del 17 per cento del personale non docente della scuola. Questo significa la diminuzione di 130.000 lavoratori, che comporterà una riduzione della rete scolastica sul territorio e il peggioramento della qualità del servizio in termini di orario e di modalità di funzionamento.

 

Si incrementa la precarietà e si incentiva l’evasione

Le norme relative al pubblico impiego nelle intenzioni del Governo dovrebbero comportare risparmi (crescenti nel triennio da 1,5 miliardi nel 2009 a 4,0 nel 2011) sulla spesa per redditi da lavoro. Il problema è che tali risparmi derivano da una forte restrizione delle assunzioni nel prossimo triennio. Vengono ridotte le risorse da destinare alla contrattazione integrativa e gli stanziamenti a disposizione per la stabilizzazione dei precari rispetto a quelli previsti dalla legge finanziaria per il 2008. Quindi, si torna indietro rispetto al percorso di stabilizzazione, abbandonando qualsiasi forma di contrasto del precariato nel lavoro pubblico ma anche in quello privato, visto che la manovra prevede norme che riformano il mercato del lavoro in una direzione contraria a quella perseguita negli ultimi due anni, favorendo il ricorso a forme contrattuali atipiche.

Oltre alla nota norma che sostituisce un indennizzo all’obbligo di trasformazione del contratto a tempo determinato con quello a tempo indeterminato in caso di irregolarità, si cancellano norme appena entrate in vigore, come la Legge 188, contro i licenziamenti mascherati da dimissioni e si cancellano gli indici di congruità, uno strumento di lotta al lavoro nero e sommerso introdotto con la Legge Finanziaria 2007, si rinvia l’entrata in vigore delle nuove disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro. Vengono previste norme sulla gestione del rapporto di lavoro, del processo del lavoro e degli orari di lavoro esplicitamente indirizzate alla deregolazione e alla minor tutela. In sostanza, si modificano in modo unilaterale accordi già sottoscritti fra le parti sociali e il Governo Prodi e approvati, come nel caso del Protocollo sul welfare, da milioni di lavoratori.

L’obiettivo della deregolazione e dell’allentamento dei controlli è anche alla base delle misure relative al contrasto dell’evasione fiscale. In questo campo la filosofia del ministro Tremonti è chiarissima: l’arretramento ed l’allentamento delle azioni di contrasto all’evasione ed elusione fiscale e al lavoro nero, necessarie a raggiungere quell’obiettivo di aumento delle entrate necessario per ridistribuire il carico fiscale riducendolo sui salariati e sui pensionati. A parole il Governo sostiene di volere incrementare i controlli ma poi sopprime l’elenco clienti-fornitori, abroga la tracciabilità dei compensi per i professionisti, aumenta a 12.500 euro (da 5.000) il limite all’utilizzo del contante a fini antiriciclaggio, dimezza le sanzioni già fortemente scontate relative all’accertamento con adesione per le imposte dirette e l’IVA, rendendolo addirittura più conveniente del ravvedimento operoso. Si ritorna alla logica dei condoni, seppure mascherati.

Sempre in questo ambito, va anche ricordata la soppressione, operata con il decreto milleproroghe, della responsabilità solidale fra appaltatore e subappaltatore, soppressione che avrà ricadute negative sia in termini di lotta all’evasione e al lavoro nero che per quanto riguarda la tutela della sicurezza sul lavoro.

 

Aumenta la pressione fiscale

Per quanto riguarda l’impatto sulla finanza pubblica, il decreto mira a ridurre l’indebitamento netto di 9,8 miliardi nel 2009, 17 nel 2010 e 30,6 nel 2011 rispetto ai relativi valori tendenziali.

Si tratta di cifre rilevantissime ed eccessive. Riteniamo che i dati sul fabbisogno siano assolutamente sovrastimati: nella seconda metà dell’anno in corso, infatti, si dovrebbero registrare maggiori uscite e minori entrate di cassa per quasi 20 miliardi di euro rispetto al corrispondente semestre del 2007, ossia una dimensione irrealistica, in particolare per chi fonda il risanamento della finanza pubblica sul controllo della spesa. Non è dato sapere quali siano le ragioni di un tale peggioramento, nonostante lo abbiamo più volte chiesto.

Nel 2009 la manovra di bilancio è basata per oltre la metà su aumenti delle entrate. Le misure di aumento delle entrate, volte a incidere in particolare su alcuni settori produttivi caratterizzati da elevati profitti (in particolare banche, assicurazioni, imprese del settore dell’energia e cooperative) sulla base dei più elementari principi della teoria della traslazione delle imposte (domanda assolutamente rigida rispetto al prezzo) finirà per gravare in grande misura sulle famiglie, data la scarsissima concorrenza sui relativi mercati. Per questo si vieta alle imprese colpite di traslare la maggiore imposta sui prezzi al consumo, incaricando l’Autorità per l’energia elettrica di vigilare sul rispetto del divieto. Il problema è che si tratta di una previsione assolutamente velleitaria, a meno di non trasformare tutti i prezzi del settore energetico in prezzi amministrati, e poi più opportuno sarebbe stato incaricare l’Antitrust perché la possibilità di traslazione è strettamente legata alla presenza di un cartello.

Inoltre, quello che continua a non essere chiaro è perché la Robin tax si applichi solo a certi settori e non ad altri caratterizzati da altrettanto elevati profitti. Come è stato sostenuto, perché il petrolio sì ed il grano o il rame no?

La verità è che il Governo sta adottando una strategia negoziale che finge di colpire i settori protetti e intanto consente loro di incassare quello che veramente hanno a cuore: non si parla più di abolizione del massimo scoperto, l’entrata in vigore della class action viene rinviata al 1° gennaio 2009, sui mutui, come avevamo già sottolineato, si sigla una convenzione a tutto vantaggio degli intermediari finanziari, si concede una sorta di “scala mobile” ai concessionari autostradali, cui vengono assicurati aumenti tariffari adeguati all’inflazione effettiva, beneficio ben diverso da quanto concesso ai lavoratori. Quindi, nessun vantaggio per i cittadini, solo aggravi.

 

Mancano le risorse per lo sviluppo

Ma, come detto all’inizio, le grandi assenti sono le misure per lo sviluppo. Anzi, il dubbio consiste proprio in questo: alla luce dell’esiguità delle risorse destinate alla crescita non è chiaro se l’ammontare della manovra lorda triennale esaurisca le esigenze di finanziamento di interventi espansivi – e allora le difficoltà che la nostra economia sta attraversando rischiano di diventare davvero drammatiche – o se invece copra un arco triennale esclusivamente ai fini della realizzazione dell’obiettivo di correzione dei saldi, mantenendo un’ottica annuale con riferimento al reperimento di risorse, e in tal caso al di là della propaganda ulteriori manovre sono all’orizzonte.

Ad esempio, non ci sono le risorse necessarie per finanziare i rinnovi contrattuali del biennio 2010-2011 né quelle necessarie a finanziare gli stanziamenti di spesa in conto capitale. Che significa tutto ciò? Difficile credere che il Governo non intenda finanziare il rinnovo dei contratti o altre voci di spesa necessarie. Allora, molto più probabilmente, ulteriori sacrifici fiscali attendono i contribuenti, davvero un bel risultato per chi ha scelto come slogan “non mettere le mani in tasca ai cittadini”.

Ma se ne parlerà ancora in autunno, che vedrà il PD impegnato in una grande mobilitazione, con la Conferenza economica del 6 ottobre, dove si definiranno i punti d’attacco alle proposte del governo, e la Manifestazione nazionale del 25 ottobre.