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“Le donne nel mirino”, di Marino Niola

Due rapinatori sorprendono nel sonno una coppia di turisti olandesi. Li derubano di tutto. E in più violentano la donna. Doppio bottino, doppia violenza. Perché una aritmetica sociale barbarica e premoderna assegna sempre alle donne una quota maggiore di sofferenza. Una violenza nella violenza. Che al trauma dell’ aggressione aggiunge un surplus di dolore. Quasi un debito, una quota fissa che una cultura tribale e ripugnante esige dal secondo sesso ogni volta che se ne presenta l’ occasione. Un “pizzo” in natura che la violenza dei maschi impone con regolarità impunita. E spesso anche inavvertita. Come se l’ aggressione sessuale fosse in fondo solo un peccato veniale. C’ è ancora chi fa fatica a considerarla un reato. Come se l’ altra metà del cielo avesse sempre qualcosa da farsi perdonare. Perfino quando è vittima. Ecco perché quella sulle donne viene troppo spesso percepita come una violenza light. Coperta da un alone di complicità deresponsabilizzante che la rende più leggera, ne occulta l’ orrore dietro una pseudo-cultura fatta di luoghi comuni, di banalità, di stereotipi duri a morire, di pregiudizi che hanno radici profonde nel maschilismo che ancora circola carsicamente nelle vene della nostra società. La storia delle donne è fin troppo piena di esempi. Che sia per strada o tra le pareti domestiche. Che l’ aggressore sia uno sconosciuto o abbia il volto familiare di un parente. Che l’ orrore le colga di sorpresa o le attenda regolarmente come per un appuntamento cui non possono sottrarsi. Che sia un connazionale o uno straniero come nel caso della vittima di ieri, la ragione profonda è sempre la stessa. è l’ idea che le donne non siano veramente eguali. Che sono quasi colpevoli delle loro sacrosante conquiste. Al punto da scambiare troppo spesso la loro libertà, frutto di un trentennio di battaglie pubbliche e private, per una disinvolta disponibilità. O per una mancanza di tutela maschile che le rende facili, e legittime prede. Come dire che le donne sono costrette ad una libertà vigilata. è inutile nasconderselo. Il nostro corpo sociale non è ancora del tutto emancipato da questa cultura tribale e ripugnante dalla quale nessuno può chiamarsi fuori. Perché pesa come un’ ombra nera che non si può esorcizzare attribuendola come marchio esclusivo a tradizioni etniche o religiose lontane. La tenebra è anche nostra. Non dimentichiamo che fino al 1981 il delitto d’ onore veniva contemplato dal nostro codice penale come attenuante. Non dimentichiamo le violenze che le donne, spesso ragazzine, subiscono in famiglia. Non dimentichiamo la diffidenza ostile che circonda le vittime degli stupri. Come dire che il medioevo maschilista è appena alle nostre spalle ma sentiamo ancora il suo vento malefico pronto a risollevarsi per soffiare su di noi. Certo oggi il problema è ancor più grave perché a complicare le cose c’ è la coabitazione con culture, tradizioni e religioni che relegano la donna in un’ incivile sudditanza e quasi automaticamente legittimano la violenza su quelle che non si adeguano ai modelli tradizionali. è una ragione in più per vigilare. E vedere riflesse negli altri anche le nostre colpe.

La Repubblica, 24 Agosto 2008

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