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“Mariastella e l’improvvisazione del pugno duro”, di Marina Boscaino

«La luna consiglia: saggezza. Poche righe, secche, di smentita, senza spiegazione. Perché alienarsi preventivamente le simpatie di una parte del mondo della scuola, in particolare di Calabria, Sicilia, Basilicata e Puglia, ai cui insegnanti Gelmini avrebbe destinato «corsi intensivi», per evitare che alcuni istituti abbassino la qualità generale? Nessuna spiegazione: un’illusione acustica o, peggio ancora, la malafede di tutta la stampa presente, come se l’argomento «insegnanti del Sud» non fosse stato nemmeno citato. La sbronza collettiva di tutti i giornalisti ha però, nella sua provvidenziale «casualità», portato alla luce il sospetto – a volte sussurrato, a volte esplicitamente dichiarato – che la scuola al Sud funzioni meno bene che al Nord.
Facciamoci carico di questo collettivo travisamento, uscendo dalla polemica e guardando alla realtà. I tanto sbandierati risultati dell’Ocse Pisa – numeri comunque usati in maniera totalmente decontestualizzata – ci parlano di una scuola italiana a due velocità: il Nord, e in particolare alcune zone, che si attestano su risultati eccellenti; il Sud che, viceversa, totalizza risultati molto bassi.
D’altro canto, il numero, per esempio, dei 100 e lode all’Esame di Stato è molto più alto al Sud che al Nord. Una contraddizione che non può essere ignorata. Non possiamo non sottolineare che molte regioni del Sud beneficiano di fondi europei come i PON, che in molti casi rappresentano – più che un reale incentivo all’omologazione agli standard europei di zone in difficoltà – un’entrata non sfruttata adguatamente; quando non, peggio ancora, un vero e proprio business; o, ancora, che la maggior parte dei corsi di formazione «istituzionali» fallisce, viene disertato; molte delle scuole di specializzazione per la formazione degli insegnanti (Siss) del Sud sono state sospettate di attribuire abilitazioni facili; la logica del «piacere» contraccambiato sopravvive.
Il problema esiste e merita di essere analizzato in un’ottica un po’ meno settaria di quella della difesa di categoria tout court, di quella della generalizzazione (il Nord e il Sud). Perché uscire da quell’ottica, nominare, affrontare i sospetti, sanare – eventualmente – in maniera ragionevole e non becera situazioni critiche significa accordare dignità e autorevolezza ulteriori ai tanti insegnanti del Sud che lavorano, alle tante esperienze positive che si possono trovare in quella parte del nostro Paese.
Se la scuola è e deve rappresentare un modello di società, l’emergenza sociale in cui si vive in molte zone del Meridione non può non riflettersi sulla scuola stessa, investendo soprattutto coloro che sono meno motivati, meno consapevoli del mandato costituzionale implicito nella funzione del docente. È impopolare, difficile da dire, al tempo stesso banale: il panorama urbano cambia spostandosi verso il meridione, e con esso l’orizzonte d’attesa del cittadino rispetto alla politica e all’amministrazione. Per un attimo, alla luce di queste osservazioni, facciamo la parte del diavolo e immaginiamo che Gelmini abbia veramente detto quelle parole. Chi terrebbe i «corsi» per gli insegnanti del Sud, quelli del Nord (i «buoni» a colonizzare i «cattivi»)? Con quali criteri verrebbero individuati i negligenti?
Infine, fino a quando lo Stato intende far finta di ignorare gli enormi problemi che investono soprattutto le grandi città del Sud e continuare da una parte a confidare sulle forze dei pionieri, dei missionari, delle donne e uomini di buona volontà; dall’altra – con demagogiche politiche dal pugno duro – approntare improvvisate soluzioni a problemi che vedono nella scuola solo l’ultimo anello di una catena di colpevoli e decennali negligenze, connivenze, rimozioni?»

L’Unita, 25 Agosto 2008

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