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“Sei povero in una città ricca? Vivrai vent´anni di meno”, di Pietro Greco

Giovedì 28 agosto, la Commissione sui Determinanti Sociali della Salute ha presentato al Direttore generale dell´Organizzazione Mondiale di Sanità (Oms), Margaret Chan, il rapporto sulla possibilità di superare una delle più odiose ingiustizie al mondo: le disuguaglianze nella salute causate dalle disuguaglianza sociali ed economiche.
La Commissione – costituita da 14 persone di grande autorevolezza e diversa formazione, tra cui l´italiano Giovanni Berlinguer e l´indiano Amartya Sem, premio Nobel per l´economia – ha svolto in tre anni un lavoro molto articolato, indicando non solo le principali disuguaglianze nella salute generate da cause sociali, ma indicando anche un obiettivo (contenuto nel titolo del rapporto Closing the Gap in a Generation, superare queste disuguaglianze nel corso di una generazione) e gli strumenti per realizzarlo.

Che le disuguaglianze nelle condizioni di salute generate da cause sociali esistono ce lo dice, ormai, una sterminata letteratura scientifica. Esse sono tra le nazioni: una bambina che sta nascendo oggi nel Lesotho ha una speranza di vita inferiore di 42 anni a una bambina che sta nascendo in questi stessi istanti in Giappone. E all´interno delle nazioni: la mortalità infantile tra le classi più povere del Perù è quasi cinque volte superiore alla mortalità infantile tra le classi più ricche.

Ma la disuguaglianza non riguarda solo le classi più povere dei paesi poveri. Esiste anche nelle opulente metropoli dell´occidente. Nei venti chilometri che separano il centro dalla periferia di Washington la vita media diminuisce di 20 anni. E nei tredici chilometri che separano il centro dalla periferia di Glasgow la vita media diminuisce, addirittura di 28 anni. La povertà, dunque, uccide. Ma è anche vero il contrario: il bisogno di salute rende poveri. Si calcola che siano 100 milioni le persone nel mondo che sono diventate povere dopo che si sono ammalate sia
per le spese delle cure sia per perdita di reddito conseguente alla malattia.

Tuttavia la Commissione fa notare che sarebbe sbagliato pensare che l´unica discriminante sociale della salute sia il reddito. Contano anche altri fattori, come l´istruzione (la speranza di vita tra i laureati in Russia è di oltre 12 anni superiore a quella tra le persone meno acculturate) e l´organizzazione sociale: paesi relativamente poveri come Cuba, Costa Rica o Sri Lanka, hanno raggiunto livelli sanitari paragonabili a quelli dei paesi ricchi.
Sta di fatto che se tutte queste discriminanti venissero rimosse, milioni di vite umane ogni anno verrebbero salvate. Se, per esempio, tutto il mondo raggiungesse gli standard di mortalità infantile dell´Islanda, si potrebbe evitare la morte di 6,6 milioni di bambini ogni anno. Il rapporto sostiene che questa non è una mera ipotesi accademica.

Obiettivi di questo genere possono essere raggiunti in tempi relativamente brevi, anche nell´arco di una sola generazione. In trent´anni la mortalità infantile (bambini morti entro i primi 5 anni di vita) in Egitto è passato da 235 a 35 morti ogni 1.000 nati vivi. Nello stesso periodo nell´Oman è scesa da quasi 200 a meno di 20. Abbattere i discriminanti sociali e azzerare le disuguaglianze della salute, dunque, si può. Già, ma come? La domanda è delicata. Perché è tutta politica. Ma la Commissione non si tira indietro. E indica, sostanzialmente, tre strade.

Cominciamo dall´ultima, che è anche quella politicamente meno impegnativa: più scienza e più coscienza. Bisogna aumentare la consapevolezza e lo studio scientifico dei determinanti sociali della salute, attraverso sistematiche rilevazioni.

La seconda strada contiene implicazioni politiche più forti: più generosità. Occorre trasferire più risorse all´interno dei paesi, a vantaggio delle classi più povere. E più risorse tra i paesi, a vantaggio dei paesi più poveri: portando dopo decenni di promesse gli aiuti dei paesi ricchi allo 0,7% del Pil. Purtroppo in questo momento la generosità non è un valore egemone. Dal 1960 a oggi la ricchezza pro capite nei paesi donatori è quasi triplicata, ma le donazioni sono praticamente ferme a poco più di 60 dollari l´anno.

La terza strada contiene le implicazioni politiche più forti: più organizzazione sociale. Occorre stabilire in tutto i mondo sistemi sanitari a carattere universalistico, che assicurino le cure fondamentali a tutti, a prescindere dal reddito e dal livello di istruzione. La Commissione non lo dice esplicitamente. Ma lo lascia capire. Bisogna riaffermare che la salute è un diritto universale dell´uomo e bisogna che l´umanità si faccia carico di garantire a tutti la fruibilità di questo diritto. Al contrario, la salute non può essere considerato un bene come un altro che si acquista al mercato con una logica di mercato. Questa pensiero, diventato dominante negli ultimi decenni, è il motore delle disuguaglianze nell´accesso alla salute sempre più estese e sempre più insostenibili.
L’Unità 1.09.08

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