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“Il federalismo impossibile”, di Stefano Fassina

Il “Calderoli.2” non funziona. I commenti alla seconda “bozza Calderoli” sul federalismo fiscale hanno riscontrato «passi avanti» perché si sono concentrati su aspetti particolari: primo, la surrettizia reintroduzione dell’Ici (in realtà è peggio: alla vecchia imposta patrimoniale dall’impatto progressivo, nonostante l’evasione legittimata dai dati catastali, si sostituisce un’imposta/tariffa sui servizi dalle ricadute regressive, ossia chi meno ha, più paga).

Secondo, l’espansione dell’autonomia impositiva di Comuni e Province (ma in relazione a quale organizzazione?). Tutti aspetti rilevanti, non c’è dubbio. Ma è come se, per comprare una casa, si guardasse all’altezza dei soffitti, all’ampiezza delle camere da letto, alla dimensione delle finestre e si tralasciasse di guardare alla tenuta delle fondamenta e della struttura portante dell’edificio. Se guardiamo anche alle fondamenta e alla struttura portante, dobbiamo dire che l’edificio progettato da Calderoli & C. proprio non regge.

Il “Calderoli.2”, immutato rispetto alla prima versione, continua a prospettare l’eutanasia dello Stato centrale in materia di promozione e garanzia dei diritti civili e sociali sanciti dalla Costituzione. Si ripropone una lettura estremista del principio di territorialità delle imposte: le imposte appartengono soltanto al territorio nel quale si raccolgono. La comunità più larga di cui si è parte per cultura, storia, istituzioni, economia non ha titoli. Come se le performance economiche di un territorio non dipendessero anche dalle politiche nazionali (se negli anni ‘90 si fosse seguito l’antieuropeismo della Lega, dove sarebbe oggi la Padania?) e dai fattori produttivi provenienti da altri territori (quanto capitale umano si è formato nel Mezzogiorno e si consuma nel Nord?). Come se non fossimo una nazione, ma un puzzle di “piccole patrie”.

L’estremismo leghista nell’interpretazione del principio di territorialità ha una chiara conseguenza: le risorse necessarie a completare il finanziamento delle prestazioni fondamentali (scuola, sanità, assistenza ed, in parte, trasporti) nei territori svantaggiati sono nella esclusiva disponibilità delle Regioni più ricche, non dello Stato centrale, come previsto nella proposta della Conferenza delle Regioni, richiamata a sproposito da qualche distratto Governatore nordista di origine Pd. In altri termini, la perequazione è orizzontale: dalle Regioni più ricche alle regioni più povere, senza l’intervento di Roma, notoriamente “ladrona” nelle valutazioni del Ministro Calderoli.

L’interpretazione estrema del principio di territorialità delle imposte determina i rapporti finanziari tra Stato e Regioni: le Regioni possono modificare unilateralmente le quote a loro riservate di “una parte rilevante” dei tributi erariali. In sostanza, le risorse per lo Stato centrale sono residuali ed incerte. E la conferma che siano considerate tali viene anche dalla bizzarra definizione dei premi fiscali per gli enti territoriali virtuosi, ossia gli enti che arrivano a risultati migliori di quelli previsti nel Patto di Stabilità Interno. Essi, oltre a poter ridurre le imposte di propria competenza, beneficiano della “modificazione dell’aliquota di un tributo erariale”. In altri termini, la bravura degli amministratori di un territorio va a discapito dei cittadini e delle imprese di altri territori.

In sostanza, “Calderoli.2” conferma “Calderoli.1”: le fondamenta e la struttura rimangono le stesse. Cambia l’altezza dei soffitti, la dimensione delle camere da letto e delle finestre. Al fine di ottenere il consenso dei sindaci, viene attenuato l’ipercentralismo regionale del “Calderoli.1”. Si abbassa la soglia di numerosità di abitanti per definire i “supercomuni”, ossia i comuni affrancati dall’interazione finanziaria con le Regioni.
Si riconosce a tutti i comuni maggiore autonomia impositiva. Si prospetta il gettito del bollo auto per le Province. Si promette un’impossibile fiscalità di sviluppo per le Regioni del Mezzogiorno. Il problema Lombardo (inteso come Governatore della Sicilia) ha una soluzione tutta sua: il bilancio siciliano riceve una parte delle imposte pagate dalle imprese con stabilimenti nell’isola ma con sede legale altrove. Ulteriori eccezioni vengono fatte per evitare che Comuni piemontesi, veneti o lombardi prossimi ai confini regionali decidano di farsi annettere da Val d’Aosta, Trentino o Friuli: ad essi viene riconosciuto lo status di territori svantaggiati (!) e la possibilità di ricevere risorse a carico del Bilancio dello Stato (quando si tratta di pagare, il principio della territorialità viene derogato: minori imposte agli elettori veneti e lombardi, maggiori spese finanziate dal resto d’Italia). In sintesi, il disegno fiscale del “Calderoli.2” non ha alcuna razionalità economica, solo scambi politici per l’obiettivo separatista. Sembra una tela di Jackson Pollock, altro che semplificazione e trasparenza del rapporto finanziario tra amministrazioni e cittadino.

Oltre al merito, va sottolineato un decisivo problema di metodo.

Un disegno di legge sul federalismo fiscale non può che prevedere ampi principi di delega, vista la complessità della materia. Tuttavia, i punti da delegare sono decisivi. Solo un esempio per capirne la portata: tra le funzioni fondamentali da perequare nel campo dell’istruzione, ci limitiamo alla scuola dell’obbligo o includiamo anche la secondaria superiore? Se ci limitassimo solo alla scuola dell’obbligo, vorrebbe dire che renderemmo ancora più povere le scuole secondarie del Mezzogiorno. Data la rilevanza costituzionale degli elementi da decidere nella legislazione di secondo livello, l’approvazione dei decreti delegati deve essere bipartisan. Non ha alcun senso che le opposizioni vengano coinvolte soltanto per la scrittura della legge-delega.

Non basta, quindi, prevedere una “Commissione paritetica”, tra l’altro solo consultiva, con gli enti territoriali. È necessaria, se si vuole veramente osservare l’impegno bipartisan, una Commissione Bicamerale paritetica (ristretta) alla quale riconoscere parere vincolante. Il parlamento non può rimanere fuori da passaggi di rilievo costituzionale.

È inaccettabile il tentativo della Lega di considerare esaurito lo sforzo bipartisan attraverso il coinvolgimento, comunque dovuto, delle organizzazioni delle autonomie territoriali in quanto presiedute da autorevoli dirigenti della principale forza di opposizione.
Ha scritto Giorgio Ruffolo qualche giorno fa: «Mai come oggi l’Italia è apparsa così fragile. E la sua unità così in pericolo… Il pericolo non è un nuovo fascismo. È la decomposizione nazionale e sociale». Poi con amarezza ha aggiunto: «Compito della Sinistra avrebbe potuto essere quello di ricomporre l’unità nazionale in un grande progetto per lo sviluppo economico, l’equilibrio ambientale e il benessere sociale. E di fondare su questo il grande disegno federativo unitario indicato da Carlo Cattaneo». Non ci rassegniamo al condizionale passato.

L’Unità, 10 settembre 2008