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“L’università nell’ombra”, di Michele Salvati

 

Vi propongo questo intervento di Salvati sul Corsera di oggi. C’è un punto che condivido pienamente ed è quello che sottolinea la mancanza di una strategia da parte del Governo sulle politiche scolastiche e soprattutto sull’università. Sul resto ci sarebbe molto da dire e non condivido pienamente il testo. Ve lo propongo per avere il vostro parere. Manuela Ghizzoni

 

 

Ha fatto bene il Corriere a dare tanto rilievo all’edizione 2008 del Rapporto Ocse sull’istruzione. Non perché racconti una storia molto diversa da quella del 2007 o metta a disposizione dati ignoti a chi si occupa di queste cose. Ma perché ogni occasione è buona, e questa era ottima, per mettere in allerta l’opinione pubblica su un tema di grande importanza per lo sviluppo economico, il benessere dei cittadini, la giustizia sociale, la qualità della società civile e della stessa democrazia. Di questo si tratta quando si parla di istruzione. E per questo è grande lo sconforto nel constatare che il nostro Paese occupa un posto così basso nelle classifiche che l’Ocse compila sui più diversi indicatori. E quando il posto non è basso, come non lo è per il numero di insegnanti o la spesa per allievo nella scuola media, lo sconforto è ancor maggiore perché l’efficacia dell’insegnamento misurata attraverso esami confrontabili ci fa di nuovo ripiombare negli ultimi posti della classifica.
Limito il commento all’Università, che è il segmento che conosco meglio e sul quale il rapporto Ocse concentra le maggiori critiche. A differenza della scuola, è quello in cui la spesa per studente è inferiore alla media; il tasso di abbandono è superiore; la capacità di attrazione di studenti stranieri è infima; gli iscritti sono sì molto cresciuti, ma lo è assai meno la percentuale di laureati sulle fasce d’età più giovani: in ogni caso siamo sempre ben al di sotto degli altri Paesi avanzati. Un pessimo risultato per una grande nazione europea, la culla della civiltà occidentale come i politici amano ricordare, sempre aggiungendo che l’istruzione è la migliore carta che possiamo giocare per stimolare la crescita. A queste affermazioni corrispondono poi disegni, programmi, azioni concrete?

Lascio da parte una valutazione del precedente ministro dell’Università: negativa, anche se a sua scusante può invocare la fragilità del governo di cui era parte e la sua breve durata. Il governo in carica è però robusto e sembra destinato a durare: qual è il disegno del ministro Maria Stella Gelmini? Per ora vediamo azioni, previste in alcuni articoli del super-decreto legge tremontiano di finanza pubblica, il ben noto 112/88: azioni gravide di conseguenze, ma di un disegno di lungo periodo neppure l’ombra. Il fondo di finanziamento ordinario delle università viene progressivamente ridotto e le assunzioni di personale tagliate: insomma, le «bestie-atenei» vengono affamate. Dove possono rivolgersi per nutrirsi? Si trasformino in Fondazioni di diritto privato — questa è la risposta dell’articolo 16 —, diventino più efficienti e cerchino risorse nella società civile: hanno voluto l’autonomia? La usino. «Maestà, il popolo non ha pane (pubblico). E allora si nutra di brioches (private)»: come non ricordare la famosa battuta attribuita a Maria Antonietta di fronte a questa operazione?

Non vorrei suscitare equivoci. Tagli erano inevitabili, soprattutto nella scuola, dove non possiamo permetterci un rapporto docenti/studenti così elevato. Ma nell’università la situazione è semmai squilibrata in senso opposto e occorreva essere cauti nell’affamare: di inedia si può morire, se le brioches delle Fondazioni non funzionano. Funzioneranno? Come facciamo a saperlo se non ci viene presentato un programma di legislatura che disegni un percorso di transizione dalla situazione attuale ad una futura e più soddisfacente? Una road map, come si dice adesso. Non ce l’ho per principio contro l’idea delle Fondazioni, avanzata tempo addietro da due stimabili colleghi, Gianni Toniolo e Nicola Rossi. Né ce l’ho contro l’idea di immettere «più privato» nell’istruzione superiore: il gatto sia pure rosso o nero, purché prenda i topi. Ma in un Paese serio una grande riforma è sempre preceduta da una discussione di merito approfondita e razionale, spesso avviata da un documento ministeriale di un certo impegno: un libro verde, o qualcosa di simile, come Maurizio Ferrera non si stanca di ripetere.

L’ha fatto Sacconi per il welfare, non poteva farlo Gelmini per l’Università e per la scuola? Per la scuola poteva partire dall’eccellente «quaderno bianco» dei ministeri dell’Economia e dell’Istruzione del precedente governo. Molti materiali ufficiali sono disponibili anche per l’Università e delle riflessioni di alcuni tra i più noti studiosi del problema fa una buona rassegna il libro di Moscati e Vaira, pubblicato quest’anno dal Mulino. Forse non sono gli studiosi cui il ministro fa riferimento, forse preferisce le tesi più radicali esposte da alcuni noti economisti della Bocconi. In via generale, ma soprattutto in questo caso, ci dia un’idea del percorso, passo per passo, prendendo posizione sul gran numero di problemi sui quali dovrà intervenire per arrivare ad una meta così distante dalla situazione attuale. Solo così saremo in grado di distinguere le resistenze conservatrici che ogni riforma importante incontra, e che devono essere superate, dalle obiezioni che devono essere discusse seriamente e sulle quali le forze politiche devono prendere posizione.

15 settembre 2008 , Corriere della Sera