università | ricerca

“Abbiamo bisogno di loro”, di Toni Fontana

L’Italia ha bisogno degli immigrati. In tempi come quelli che stiamo vivendo, questa frase, che riassume il pensiero della Caritas – lo strumento di intervento nel sociale della conferenza episcopale italiana – assume un valore dirompente. Indica un’altra strada, quella dell’accoglienza e dell’inclusione fondate su «umanità e rispetto, equità ed equilibrio» e dice che è possibile coniugare «integrazione e legalità».
Tutto ciò è emerso ieri nel Teatro Orione di Roma durante la presentazione del «dossier statistico immigrazione 2008». Si tratta di un volume – che la Caritas ha realizzato attraverso la Fondazione Migrantes – di 511 pagine. E’ da anni (quello presentato ieri il diciotessimo rapporto sull’immigrazione) costituisce il più completo e vasto studio su quel che ci attende nei prossimi anni, o quel che attende i nostri figli.
Un dato emerge tra i tanti elencati da Franco Pittau, della presidenza della Caritas di Roma. Nel 2050 in Italia vi saranno 12.400.000 immigrati, pari al 18% dell’intera popolazione. Entro quella data gli ultrasessantenni, oggi 12 milioni, saranno 22 milioni. L’Italia invecchia e, sempre più, il lavoro degli immigrati diventa un pilastro non solo della nostra economia, ma anche del sistema previdenziale e pensionistico. Già oggi il milione e mezzo-due milioni di immigrati che lavora paga 4 miliardi di euro all’anno di tasse e fa entrare 5 miliardi di euro nelle casse dell’Inps (che ha 1.579.000 iscritti di altri paesi), anche se gli stranieri che beneficiano della pensione sono solo l’1%.
Si parla dunque di una cifra assoluta di 40.000 persone. Perché – ed è un’altra delle notizie contenute nel rapporto – gli immigrati regolarmente presenti in Italia sono 3,8- 4 milioni. Caritas propone una stima superiore a quella dell’Istat (3.433.000 nel 2008) perché include anche coloro che, giunti di recente nel nostro paese, non hanno ancora ottenuto la residenza.
Ma la presenza di immigrati aumenta di 300-350mila unità all’anno ed è «proporzionalmente superiore a quella degli Stati Uniti». Arrivano insomma in tanti e sempre di più: 170mila i nuovi lavoratori ogni anno, 100.000 entrano in seguito ai ricongiungimenti, 60mila nascono nei nostri ospedali. A questo ritmo «l’Italia è avviata a superare la presenza di 10 milioni di stranieri ben prima di metà secolo e diventare, assieme alla Spagna, il primo paese europeo per numero di immigrati». Si tratta di un vero e proprio ciclone sociale. Già oggi un matrimonio su 10 (24.020 su 245.992) vede un partner straniero. In nove regioni del Nord i matrimoni misti rappresentano il 25% del totale.
Quella di Caritas, che ha riempito ieri la platea del teatro romano di giovani e immigrati, non è stata tuttavia un’elencazione piatta e ragionieristica dei mutamenti in corso, ma un’attenta analisi politica, come hanno chiarito i fischi (e gli stentati applausi) che hanno accompagnato l’intervento del ministro del Lavoro Sacconi, che, nella sostanza, ha detto che toccherà agli immigrati pagare il costo della crisi economica. I dirigenti della Caritas non sono di questo avviso e propongono invece di imboccare un’altra direzione.
«Dobbiamo portare con noi i nuovi cittadini nelle strade del futuro – ci spiega Maria Paola Nanni, una delle curatrici del dossier – per fare ciò occorre avere una mentalità nuova e aperta, dobbiamo schierarci per l’inclusione e non per la separatezza». Il dossier del resto parla chiaro: “espressioni come “tolleranza zero” – vi si legge – sono tra le più abusate in Italia dove l’inerzia politica ha creato pericolose derive sociali”. Caritas – ha detto Franco Pittau – “ritiene necessario cambiare norme che non siamo in grado di far rispettare, il permesso di soggiorno non può essere agitato come uno spauracchio per restare in Italia, vanno modificate norme che spingono alla irregolarità” (nel 2007 vennero presentate 700mila domande di assunzione in occasione del Decreto Flussi, ma gli ingressi concessi restarono 170mila, condannando più di 500mila persone al lavoro nero e sommerso).
Dall’irregolarità “si esce con il rispetto delle norme – sostiene ancora la Caritas – accompagnato però da misure di integrazione e tenendosi lontani da da ogni forma di sanzione discriminatoria. Non ci ha affatto convinto l’aumento delle pene per chi commette reato in situazioni di irregolarità e neppure la possibilità di trattenimento fino a 18 mesi nel Centri di identificazione e di espulsione”. Gli oratori hanno del resto più volte accennato alla lunga storia dell’immigrazione italiana convinti che «equiparare quella attuale alla criminalità rappresenti la più grande offesa alla storia degli italiani nel mondo».
Secondo monsignor Giuseppe Merisi, occorre agire con «giustizia, lealtà e apertura verso il futuro» animati da «umanità, rispetto, equità ed equilibrio». Benché non l’abbia detto in modo esplicito, il presidente della Caritas è apparso perplesso sull’eventualità che il governo sia animato dalle stessa preoccupazioni. Ha, infatti, raccomandato di “fare di più” puntando sulla «legalità, ma anche l’accoglienza e l’aiuto ai paesi poveri».
Di tutto questo non vi è stata traccia nell’intervento del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi che ha avuto il merito di non ha cercare il favore del pubblico con promesse a buon mercato. I fischi sono arrivati quando ha parlato di «disintegrazione», intesa come contrario di «integrazione». Il ministro ha dipinto a tinte fosche la situazione economica, previsto «più disoccupazione sul lungo periodo» e non ha nascosto che «gli immigrati sono i più esposti e quelli che corrono maggiori rischi». Nessun accenno al «pacchetto integrazione» invocato a gran voce dagli esponenti della Caritas.
Il governo, insomma, ha altre priorità e non intende farsi carico dei problemi degli immigrati. Sacconi ha preannunciato che tra breve saranno annunciate le quote degli ingressi per il 2009 ispirate da una “rigorosa selezione”. I monsignori presenti, finita la presentazione del dossier, hanno parlato a lungo con l’esponente del governo. Questo non ha impedito che la contestazione riprendesse mentre il ministro lasciava l’aula.

 

L’Unità,31 Ottobre 2008