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«Governo a muso duro con poveri e immigrati», di Luigi Manconi e Federico Resta

Homeless schedati e senza diritti. Reato di clandestinità e 18 mesi per l’identificazione. Le ronde legalizzate. Sindaci sceriffi e pseudo poliziotti a occuparsi di ordine pubblico. Persino il matrimonio è subordinato al permesso di soggiorno. Via tutti i diritti

Sarà in aula da martedì a Palazzo Madama il disegno di legge sula sicurezza. Ronde istituzionali, reato di clandestinità per gli immigrati e schedatura dei clochard. Così si tagliano i diritti dei più poveri.
Il complesso delle misure disegna una strategia e un’ideologia affidate a un sistema di intimidazione ed esclusione. Questi i punti più significativi.
La schedatura dei clochard
Si istituisce il registro delle persone che non hanno fissa dimora, rimettendone a un mero decreto del Ministro dell’interno la disciplina di funzionamento. La norma contrasta con il principio di eguaglianza, assoggettando a una sorta di schedatura persone per il solo fatto di essere «senza fissa dimora». Non si specificano poi le finalità che dovrebbero legittimare questo trattamento discriminatorio, gravemente lesivo della dignità personale.
Le ronde e il presidio
Gli enti locali potranno avvalersi «della collaborazione di associazioni tra cittadini» al fine, tra l’altro, di «cooperare nello svolgimento dell’attività di presidio del territorio»; finalità, questa, prevalente,tanto da comparire nel «titolo» della norma. Ora, coinvolgere privati nell’esercizio di una delle funzioni principali della sovranità dello Stato contrasta con il monopolio statuale della forza. Né si prevede espressamente il carattere pacifico (non in armi) di tali associazioni. Se quindi esse perseguissero anche indirettamente scopi politici (il che non è escluso dalla norma), incorrerebbero anche nel divieto di cui all’art. 18 Cost..
Il permesso a punti
Si subordina il rilascio (e il rinnovo) del permesso di soggiorno alla stipula di un «accordo di integrazione» e si prevede l’espulsione immediata nel caso di perdita dei «crediti», senza neppure la deroga per asilanti e rifugiati. Contrasta con il diritto internazionale subordinare uno status soggettivo (la presenza in uno Stato) alla valutazione (necessariamente discrezionale) del grado di integrazione della persona. Giudizio complesso, che l’autorità amministrativa fatalmente esprimerebbe con criteri arbitrari: tanto più che non sono previsti dalla legge parametri certi né i fatti che determinano la perdita dei crediti (si rinvia a un regolamento, in contrasto con la riserva di legge di cui all’art. 10 Cost.).
L’immigrazione irregolare è un reato
Benché «derubricato» da delitto (com’era in origine) a contravvenzione, questo reato resta inaccettabile. Non si comprende infatti l’esigenza di incriminare l’immigrazione irregolare quando (e per fortuna) la sola misura applicabile resta quella dell’espulsione, la cui esecuzione impedisce la prosecuzione dell’azione penale, salvo riattivarla in caso di reingresso. Inoltre – fatto gravissimo- non si prevedono cause di non punibilità o di sospensione del processo per le vittime di tratta, o per i titolari di un permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale. Ancora: questo reato sarebbe difficilmente compatibile con lo jus migrandi sancito quale libertà fondamentale (e non mero diritto alla fuga) dal diritto internazionale. Infine, la norma sarebbe allo stato inapplicabile, poichè le disposizioni del d.lgs. sul giudice di pace richiamate ai fini del procedimento… non esistono.
Nei centri identificazione per 18 mesi
È prevista la detenzione nei centri fino a 18 mesi in caso di difficoltà nell’accertamento dell’identità e della nazionalità dello straniero, o nell’acquisizione dei documenti per il viaggio. La direttiva Ce migration policy, invocata dal Governo italiano a sostegno della misura, prevede che il termine massimo di 18 mesi valga per la sola resistenza all’identificazione, il che è diverso dalla mera difficoltà nell’accertamento. Inoltre, la direttiva sancisce il carattere di extrema ratio del trattenimento, prevedendo la liberazione dello straniero qualora non esistano verosimili possibilità di esecuzione dell’espulsione. Correttivi, questi, assenti dal disegno di legge, nonostante la Commissione de Mistura abbia dimostrato che i tempi per l’identificazione dello straniero non superano mai i 60 giorni. Perché allora legittimare una simile estensione della detenzione amministrativa, per un tempo pari a quello di pene previste per reati anche di una certa gravità, invece di promuovere gli accordi di riammissione che, essi soli, rendono effettive le espulsioni? E come giustificare tale privazione della libertà motivata solo da circostanze estranee alla condotta individuale, quali sono l’indisponibilità dei documenti di viaggio o l’impossibilità di identificare lo straniero?
Quelli sinora esposti sono i contenuti principali del disegno di legge. Altre norme, altrettanto illiberali, prevedono l’obbligatorietà della custodia cautelare anche per i reati informatici, nonostante la Consulta e Strasburgo non abbiano censurato tale disciplina solo perché sinora limitata ai reati di mafia; e prevedono, poi, il rimpatrio dei minori comunitari che esercitano la prostituzione, senza assicurare loro possibilità di accoglienza e protezione in Italia. Si è infine subordinata la possibilità di contrarre matrimonio- diritto fondamentale e non legato alla cittadinanza – al possesso del permesso di soggiorno.

L’Unità, 9 Novembre 2008