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“Il fuorigioco di Tremonti”, di Tito Boeri

Perché Tremonti si è messo a fare il rigorista proprio quando G20, Fondo Monetario e Commissione Europea non solo gli concedono, ma addirittura gli chiedono insistentemente di allentare i cordoni della borsa? È una domanda che mi sono posto più volte in questi giorni. Finché, girando per librerie, mi sono imbattuto in un volumetto dal titolo accattivante: “La persecuzione del rigorista” di Luca Ricci. Narra di un giovane prete molto ambizioso spedito in un paesino di montagna e roso dall´invidia per l´idolo locale, un contadino, che non ha mai sbagliato un calcio di rigore in tutta la sua carriera di calciatore dilettante. Il parroco vive nella spasmodica attesa del primo errore del suo antagonista nella gerarchia locale. E fa di tutto per farlo sbagliare.
I tedeschi sono noti per essere dei grandi rigoristi. La loro nazionale di calcio è quella che ha la percentuale più alta di vittorie ai calci di rigore nella fase finale della Coppa del Mondo.

Ben l´85 per cento di successi contro un misero 29 per cento dell´Italia. E italiani sono gli unici calciatori immortalati dalle cronache sportive per avere sbagliato due rigori nella stessa partita. Non ricorderò i loro nomi come riconoscimento del loro coraggio. Forse il nostro ministro dell´Economia, mi sono detto leggendo il libro, pregusta la palla del debito pubblico scagliata in tribuna dai tedeschi, dopo che americani, francesi e inglesi hanno già fatto schizzare verso l´alto i loro disavanzi. Forse è a questo teutonico pallone finito in tribuna che Tremonti pensava nella conferenza stampa in cui ha presentato il modestissimo pacchetto “anti-crisi” varato venerdì scorso dal Consiglio dei ministri, un misero terzo di punto di pil. Abbiamo un debito pubblico troppo alto, ha detto, non possiamo, a differenza degli altri, permetterci di sbagliare.

Ammesso che sia questa la strategia seguita del nostro ministro dell´Economia, non tiene conto di un problema fondamentale. Se l´Italia si mette in posizione d´attesa, anche gli altri paesi europei, a partire dalla Germania, faranno altrettanto. Invece di varare quelle politiche a sostegno della domanda che favorirebbero grandemente le nostre esportazioni, si limiteranno, al più, ad aiutare le loro banche o le loro imprese, col risultato di mettere ancora più in difficoltà le nostre di banche ed imprese. Il piano varato dalla Commissione Europea mercoledì scorso è più che altro un´ammissione di impotenza e una richiesta di coordinamento fra i vari paesi nel varare politiche di sostegno alla domanda, cui il nostro paese farebbe bene a non sottrarsi. Altrimenti Angela Merkel, come il contadino del romanzo di Ricci, finirà per realizzare il rigore nonostante il maltempo.

La politica economica del rigore rischia così di trasformarsi nella politica economica del fuori gioco. Non sarebbe la prima volta che ci cadiamo. Come ricostruito da Luigi Guiso e altri ricercatori, nel 1996, quando eravamo in piena fase espansiva, la legge Tremonti stimolava gli investimenti delle imprese, facendo solo schizzare verso l´alto il costo del loro indebitamento. Nel quinquennio 2001-6, quando si trattava di agganciare la domanda internazionale con l´economia mondiale che galoppava a tassi del 5-6 per cento all´anno, il nostro governo tagliava le tasse puntando invece su di un improbabile rilancio dei consumi interni. Ora che bisognerebbe tagliare le tasse e concedere aiuti alle famiglie si procede con il contagocce. Proprio mentre politiche fiscali espansive a casa nostra avrebbero un effetto significativo sui consumi, perché sono molte di più le famiglie che hanno problemi di liquidità, che spenderebbero di più se venisse data loro la possibilità di farlo.

C´è forse allora un´altra spiegazione per questo comportamento, che non ha nulla a che vedere con il rigore. Il decreto di venerdì è, più che altro, uno stillicidio di provvedimenti, tutti di piccola entità, tutti basati su criteri fortemente arbitrari, alcuni inspiegabili, alterabili successivamente a volontà. Sono poi quasi tutti provvedimenti temporanei. Il governo deciderà poi cosa prorogare nel tempo e cosa no. Si sono aperti tanti piccoli rubinetti sulla cui apertura vigilerà un qualche ministro se non quello dell´economia in persona.

Perché solo chi ha meno di due utenze del gas può ricevere la social card? E perché si riducono i costi dei mutui solo per coloro che si sono indebitati a tasso variabile, anziché tutelare innanzitutto chi aveva scelto un basso profilo di rischio col tasso fisso? È una scelta di interventismo, di protagonismo dello Stato in economia, ribadita anche in tutte le altre scelte del decreto. La selettività invocata per spendere di meno diventa sinonimo di completa discrezionalità. Questo spiega perché alcuni provvedimenti impongano costi amministrativi che possono addirittura risultare superiori alle somme erogate ai cittadini. Come gli ammortizzatori sociali per i co.co.co. che dovrebbero garantire ai pochi beneficiari (meno del 10 per cento dei lavoratori atipici quando si tenga conto dei vari requisiti) circa 55 euro al mese, poco di più di quanto erogato con la “social card”. Costerà di più verificare a chi dare e a chi non dare questi trasferimenti. Ma quel che conta è che, d´ora in poi, spetterà al governo decidere come e quando allargare la platea dei beneficiari e se prorogare o meno questi trattamenti. È una questione di potere, più che di rigore.

La Repubblica, 1 dicembre 2008