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“I soldi per il terremoto del Molise: seppie, ippovia, museo del profumo”, di Sergio Rizzo

Anche i pescatori di seppie molisane dovranno ringraziare il terremoto. Vi chiederete: che cosa c’entrano i cefalopodi dell’Adriatico con le scosse telluriche? Già. E le api da miele, allora? O gli zampognari di Scapoli? Oppure il canneto di Roccavivara e il Museo del profumo di Sant’Elena Sannita? E il programma televisivo «On the road», c’entra forse qualcosa? Troverete le risposte in altrettanti decreti firmati da Michele Iorio, esponente di Forza Italia, commissario del terremoto (e della successiva alluvione). Una pioggerellina di denaro, fitta fitta, che ha bagnato praticamente tutta la Regione di cui Iorio è presidente dal 2001.
Per la «sperimentazione del ripopolamento della seppia» nelle acque del Molise, 250 mila euro. Per il monitoraggio dell’«apis mellifera ligustica », 90 mila euro. Poi 220 mila per la lirica, 450 mila per il museo naturalistico di Monte Vairano, 425 mila per un centro di equitazione, 100 mila per la patata turchesca di Pesche, 800 mila euro per sistemazione di «sentieri di ippovia e ippoterapia» e altre amenità del genere. Fino ai 144 mila euro destinati alla società milanese Mafea comunication srl «in qualità di concessionaria esclusiva per la gestione finanziaria del programma» televisivo « On the road da inserire sul palinsesto di Italia uno e avente ad oggetto il territorio della Regione Molise ». Anche quello, evidentemente, considerato come tutti gli altri un finanziamento indispensabile «per la ripresa produttiva» delle zone terremotate.
Per spiegare che cosa sia successo nei sei anni passati da quel drammatico 31 ottobre 2002, quando una scossa di grado 5,4 della scala Richter spazzò via a San Giuliano di Puglia una intera scolaresca, non si può che cominciare da qui. Da quello che ormai è noto come «Articolo 15». Nel marzo del 2003, dopo il terremoto e l’alluvione che l’aveva seguito, con una ordinanza del premier Silvio Berlusconi Iorio venne nominato commissario con tutti i poteri. In quel provvedimento c’era però anche una norma, appunto l’articolo 15, che stabiliva «un programma pluriennale di interventi per la ripresa produttiva della Regione Molise». Il piano aveva una dotazione finanziaria complessiva di 670 milioni, di cui 454 milioni di fondi pubblici. Dentro il calderone, praticamente tutto: soldi europei, denari dello Stato e della Regione. Anche fondi ordinari. E siccome l’articolo 15 parla di «territorio della Regione Molise», ecco che il fiume di denaro ben presto cominciò ad allagare anche le aree fuori dal cosiddetto «cratere»: quelle che il sisma l’avevano visto soltanto in cartolina. Un po’ come era già successo per il terremoto dell’Irpinia.
Inevitabili le polemiche scatenate dall’opposizione, dove Massimo Romano, un consigliere regionale di 27 anni dell’Italia dei Valori, sul quale ora il molisano Antonio Di Pietro punta per la corsa al posto di sindaco di Campobasso, prese a tempestare la giunta di interrogazioni. Tanto più perché i finanziamenti coincidevano in gran parte con il ciclo elettorale delle regionali 2006, che videro il commissario Iorio trionfare ancora una volta. E inevitabili anche le sue repliche, con le quali bollò come «notizie false prive di riscontri» i fatti che via via emergevano. Ci si mise pure un giornale on line, Primonumero. it, segnalando che molti finanziamenti erano destinati alla Provincia di Isernia, il «bacino elettorale» di Iorio che non era stato nemmeno sfiorato dal sisma. A Isernia sarebbero andati 563 euro per ogni abitante, contro i 530 euro della provincia terremotata di Campobasso. Soldi stanziati per le iniziative più stravaganti, come i 600 mila euro per un «parco tecnologico dell’acqua», sempre a Isernia, e come i 200 mila euro per il Museo del profumo a Sant’Elena Sannita, nella provincia isernina. Oppure riversati a valanga, ha denunciato Primonumero.it, in alcune microscopiche «roccaforti del centrodestra» come Sant’Angelo del Pesco, un comune di 416 abitanti a 110 chilometri dall’epicentro che avrebbe avuto per la ripresa produttiva fondi pari a più di 4 mila euro pro capite. Il triplo dei 1.276 euro a testa destinati ai 28.561 residenti nel «cratere».
Intendiamoci: non che Campobasso si possa lamentare. Anche il capoluogo di Regione ha avuto la sua razione di soldi per alimentare in modo piuttosto singolare «la ripresa produttiva »: a cominciare dai 220 mila euro, che secondo Il Regno del Molise,
pubblicazione di prossima uscita di cui è autore l’ex presidente di Confcooperative, Vinicio D’Ambrosio, sono serviti a finanziare, attraverso l’associazione musicale «Il Sipario», il Festival della lirica. Soprattutto, nella provincia di Campobasso sono arrivati i soldi della ricostruzione. Con un meccanismo, anche questo, già sperimentato per il terremoto dell’Irpinia.
Il «cratere», che inizialmente comprendeva 14 paesi, venne allargato dopo qualche mese, con una ordinanza di Iorio, a 83 comuni: tutti quelli della provincia di Campobasso tranne uno, Guardiaregia, compreso anch’esso con una successiva ordinanza, ma il cui sindaco non aveva mai denunciato danni. Anche in questo caso al presidente della Regione non vennero risparmiate le critiche. Lo stesso capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, gli scrisse sottolineando la «dubbia legittimità» dell’ampliamento dell’area del sisma perché al commissario non spettava il compito «in ordine all’individuazione dell’ambito di applicazione del provvedimento ». Ma tutto andò avanti ugualmente e i fondi iniziarono ad affluire. Talvolta in modo discutibile.
Il comune di Campochiaro, a 70 chilometri dall’epicentro, venne dichiarato terremotato perché il campanile della chiesa era risultato leggermente lesionato: 11 milioni di euro. Venne finanziato pure il ripristino di scuole che erano chiuse da dieci anni. Per non parlare dei ponteggi. Il commissariato spese 5 milioni e mezzo per far mettere in opera ponteggi in grado di rendere sicure le chiese danneggiate. In attesa che i lavori di restauro cominciassero, si pagò l’affitto dei tubi per due anni: 3 milioni di euro. Poi si pagò la rimozione dei ponteggi: ancora 570 mila euro. Ma mica tutti, tanto che alla fine dello scorso anno una relazione del commissariato rivelava che il costo annuo dei ponteggi «non ancora rimossi » ammontava a 900 mila euro. Precisando che le imprese impegnate nella ricostruzione non avevano accettato la proposta di acquistarli. E tutti quei tubi rimanevano sul gobbone del commissario.
Quanto denaro è già corso effettivamente? Per la ricostruzione circa 400 milioni, ma dopo l’intervento dell’ex ministro delle Infrastrutture Di Pietro le somme disponibili ammonterebbero a oltre 900 milioni. A settembre, tuttavia, il commissariato ha fatto i conti dei soldi che servirebbero ancora: 3 miliardi 193 milioni 726.482 euro, dei quali due miliardi per le case dei privati, 125 milioni per le scuole e 97 milioni per le chiese. Il conto potrebbe salire quindi a quasi 4,1 miliardi: cifra che sommata ai 454 milioni del famoso articolo 15 porterebbe la bolletta a oltre 4,5 miliardi. Vale a dire, 75 euro per ogni italiano. Meglio non dirlo a chi, e sono ancora un migliaio se si eccettua il comune di San Giuliano, l’unico che si possa definire «sistemato», si sta apprestando a passare il settimo Natale consecutivo in un prefabbricato. Con in più una sgradevole sorpresa. Da giugno scorso i cittadini e le imprese di tutti i comuni terremotati avrebbero dovuto cominciare a restituire allo Stato tasse e contributi il cui versamento era stato sospeso dopo il sisma. Un miliardo e mezzo di euro soltanto per i contributi arretrati. Finora la battaglia del senatore di San Giuliano di Puglia, Giuseppe Astore, per ottenere almeno le stesse condizioni concesse ai terremotati umbri e marchigiani (il pagamento in dieci anni con lo sconto del 60%) non ha dato ancora esito. Il governo ha rigettato tutti i suoi emendamenti. E ora non gli resta che il treno della Finanziaria. Per evitare che al danno si aggiunga anche la beffa.Corriere della sera, 2 dicembre 2008