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“Etica e politica. La strada obbligata del Pd”, di Nando Dalla Chiesa

È un paese un po’ cialtrone questo, lo sappiamo. Intriso di trasformismi e di soccorsi ai vincitori. Che scrive spesso la sua autobiografia nei demagoghi politici di cui si innamora. Che prova l’orticaria verso la parola «legalità». Ma, appunto, «un po’», non del tutto cialtrone. E nemmeno sempre nella stessa misura.
Sicché capita che anche in un paese così la questione morale decreti la fine, il declino o, al contrario, la tenuta dei partiti. Perché c’è sempre un’ampia minoranza di cittadini che alla qualità dei rapporti civili, al pubblico decoro, al senso delle istituzioni tiene e crede. Un pezzo importante del paese che non sta, politicamente, tutto di qua o di là; ma che certo tende a collocarsi in modo significativo in quello che oggi chiamiamo centrosinistra. Un popolo paziente ma disposto alla rivolta soprattutto quando sente che l’immoralità di governo lo colpisce nei suoi interessi materali. Il crollo della prima repubblica ha suggellato in fondo un’etica pubblica che offendeva il decoro delle istituzioni, salassava le finanze dello Stato e ingessava la vitalità della società civile. E infatti non i magistrati, ma il voto del ’92 e ancor prima il referendum del ’91 hanno affondato Dc e Psi, simboli di una specifica idea di governo e di politica. E, per converso, il Pci ha scavalcato le macerie del Muro (autentico paradosso della storia) grazie all’immagine alternativa che aveva. Conservando un patrimonio di consensi cresciuto non certo in nome dell’ideale comunista, ma per accumulazione multiforme intorno a un’idea di buon governo. Come cantava Gaber, la gente era diventata comunista perché la Dc era il partito degli scandali. O perché qui c’era il peggiore partito socialista d’Europa. O perché Berlinguer «era una brava persona».
Insomma, nonostante quel che si crede, la questione morale in politica conta, tanto più che in genere essa è intreccio, sintesi di molte questioni. E se è vero che a volte «più rubi e più prendi voti», arriva sempre il momento in cui paghi la perdita della reputazione e del prestigio, anche in modi ingiusti e spietati. Di più: senza un elettorato pronto a difenderti, poiché di norma lo smarrimento della bussola etica si accompagna a una sonnolenza progressiva su tutti i temi ideali che danno senso a un partito. Da qui la domanda: quale demone, quale virus della ragione ha portato a pensare nel centrosinistra che la questione morale faccia perdere voti, che l’etica pubblica sia una materia complementare, un optional, nella formazione e nella identità di un gruppo dirigente politico? La prima risposta è: senz’altro la perdita del senso della realtà. Ossia la convinzione che la realtà sia fatta del proprio mondo partitico-mediatico-clientelare. Che si possa diventare solida maggioranza annettendo, con disutilità marginali crescenti, i Mastella e i Villari, anziché offrendo buoni progetti sostenuti da un’alta e riconoscibile serietà di partito o schieramento. Escogitando operazioni di ceto politico, che – a livello centrale come a livello locale (si ricordi la vicenda Fortugno in Calabria) – diventano inevitabilmente corollario e legittimazione di micidiali pratiche clientelari e corruttive. Naturalmente questa perdita di senso della realtà ha alle sue spalle processi storici. La crisi del partito di massa, anzitutto. Ma ancor più l’esaurimento dell’onda lunga in cui si sono formate le classi dirigenti politiche della prima Repubblica. Ossia dello spirito fondativo della Resistenza e della Costituzione. E la conseguente sostituzione di leadership nate nel fuoco di grandi battaglie sociali, sindacali, politiche, culturali con leadership nate prevalentemente negli accordi interni di partito, e alle quali le liste bloccate hanno reciso ogni cordone ombelicale con sentimenti e domande popolari. Grande, oggi, è il compito del Pd. Grande e difficile. Denunciare l’immoralità dell’avversario al governo e, al tempo stesso, costruire la propria moralità di partito nuovo. Ma deve svolgerlo, sapendo che dovrà pagare duri prezzi. Altrimenti sarà condannato a pagare il prezzo più duro. Ossia la caduta libera dei suoi consensi, l’implosione del progetto per le tante promesse non mantenute. Ancora una volta la questione morale si presenta – anziché come addentellato – come riassunto della politica. Sarà una strada lunga e spinosa. Ma forse sarà l’unica strada possibile per realizzare finalmente il Pd promesso agli italiani.

L’Unità, 9 dicembre 2008