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Pensioni, Brunetta pensa alle donne “mandarle dopo ma per il loro bene”

Secondo il ministro occorre alzare l’età pensionabile della forza lavoro femminile “Sono discriminate due volte, lavorando di più recuperano parità”.  Calderoli: “La prendiamo come una battuta”. Il no dei sindacati

Le donne “sono discriminate due volte”, facendole lavorare più a lungo il problema si riduce. E’ la convinzione del ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta, che ha annunciato oggi la creazione di un gruppo studio per valutare “costi e benefici dell’invecchiamento attivo di donne e uomini, che dovranno andare in pensione tutti alla stessa età”.

Ma l’idea non piace alla Lega. “Brunetto-scherzetto!”, ironizza Roberto Calderoli. Per il Carroccio, aggiunge secco, l’età pensionabile delle donne “va bene così”. E poi una proposta del genere andava prima discussa nella maggioranza, come si fece l’ultima volta che si parlò della riforma delle pensioni. E anche allora la Lega disse no. Non bisogna pensare solo all’aspetto finanziario, ma anche al ruolo della donna nella società, che non si può sottovalutare, dice Calderoli. E anche i sindacati bocciano, con diverse sensibilità, le parole di Brunetta.

Secondo il ministro della Funzione pubblica invece “occorre innalzare l’età pensionabile delle donne che attualmente dall’andare in pensione prima non hanno vantaggi ma svantaggi, perché hanno progressioni di carriere e livelli di pensione più bassi”. “Le donne – ha proseguito Brunetta – sono due volte discriminate. Sono discriminate nella carriera per l’interruzione legata alla fase riproduttiva. Sono discriminate nelle pensioni più basse legate all’aver smesso di lavorare prima”.

Parlando più in generale del sistema previdenziale, Brunetta ha sostenuto che innalzando ulteriormente l’età pensionabile “si recupera quel 10% in più dello spaventosamente basso tasso di occupazione italiano” e questo “significa 2-3 milioni di posti di lavoro in più, il che vuole dire incrementare il gettito fiscale e il Pil del Paese”. L’invecchiamento attivo, ha detto ancora, “è un bene pubblico e come tale occorre farne rilevare la convenienza e sostenerlo con gli opportuni incentivi, anche fiscali, e disincentivare le uscite precoci dal lavoro”, in particolare per la fascia di età compresa tra i 55 e i 65 anni.

Brunetta ha citato quindi anche il recente intervento della Corte di giustizia che “ci chiede di non fare discriminazioni tra uomini e donne e di innalzare l’età pensionabile delle donne, che oggi invece di avere un vantaggio ne hanno uno svantaggio, perché hanno progressioni di carriera e livelli di pensione più bassi, in quanto costrette ad andare in pensione prima”.

Dal fronte sindacale il primo a replicare al ministro della Funzione Pubblica è stato il segretario della Uil Luigi Angeletti per ribadire il suo no a qualsiasi innalzamento dell’età pensionabile che non sia basato sulla volontarietà e sugli incentivi. “Su questo la penso come Berlusconi – ha detto Angeletti – non sono d’accordo sulla necessità: sono favorevole a fondare l’innalzamento sulla volontarietà, con incentivi”. Anche il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, appare contrario: “Le pensioni – ha dichiarato – sono un tema delicato che non può essere utilizzato come uno spot pubblicitario”.

Molto più netto il no della Cgil. “Il governo non ci provi nemmeno a mettere mano”, ha commentato il segretario confederale della Cgil Funzione Pubblica, Carlo Podda. “Le donne – ha proseguito – vanno in pensione con il massimo dell’età e con il nostro sistema si va sulla base dei contributi, sono altre le sperequazioni che riguardano le donne, e comunque parliamo di sperequazioni subite, non certo di privilegi”. “Dire che la misura serve per risolvere la sperequazione” ha aggiunto Podda, “è una provocazione intollerabile”. Insomma, chiosa Renata Polverini, segretario dell’Ugl, “una riforma delle pensioni in questa fase economica e sociale non avrebbe alcuna ragione di essere”. 
La Repubblica 13 dicembre 2008

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