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«Basta con certe meschinità. Il Pd si occupi della vita di tutti». Intervista ad Alfredo Reichlin di Ninni Andriolo

Onorevole Reichlin, il Pd sembra in un vicolo cieco. D’accordo con questa analisi?
«Nei guai, sì ma perché in un vicolo cieco? In un vicolo cieco sono le forze che finora hanno governato il mondo, come ci dice la gravità senza precedenti della crisi che viviamo. C’è una grande sete di giustizia, ma questa parola noi la usiamo poco. Se nel Pd esiste, ed esiste, uno stato di incertezza e di confusione esso deriva soprattutto dalla debole coscienza del nostro ruolo in questo passaggio storico. È questo che spiega molte nostre divisioni e alimenta, nel contempo, meschine ambizioni personali di un ceto politico che è urgente rinnovare. Ma rinnovare in funzione di cosa se non di una più forte coscienza della nostra missione?».

Perché parla di coscienza debole del Pd?
«Perché il salto che non riusciamo a fare è quello di ispirarci a una visione più coraggiosa e libera da vecchi schemi, di questo passaggio storico. Ciò che viene messo in discussione non è solo un modello economico, ma l’ordine mondiale che si costruì negli anni ’70»

La globalizzazione ha prodotto anche effetti molto positivi, però…
«Certo, in venti anni qualcosa come un miliardo di esseri umani è entrato nel circuito della produzione, dei consumi e dell’informazione. Ed è anche vero che tutto questo è figlio di una grande ondata di innovazioni il cui centro era collocato proprio negli Stati Uniti».

E tutto ciò come ha influito sulla politica?
«Si è creato un divario crescente tra la potenza delle forze che controllano i centri del potere e la debolezza dei vecchi ordinamenti statali. Si è resa sempre più incerta la difesa della democrazia e dei diritti e sempre più insicura l’esistenza delle persone, il lavoro, i progetti di vita, le identità, le culture, le religioni. Che tipo di società umana si sta formando? Solo a partire da questo fondamentale interrogativo il Pd può ridefinire la sua funzione storica e il suo riuscire ad essere l’incontro di culture diverse capaci di leggere il mondo con categorie nuove».

Ma non sta emergendo, anche, una nuova questione sociale?
«Certo. E non solo come rapporto tra ricchi e poveri, ma come bisogno crescente di un nuovo posto della persona, e della creatività e libertà umana nel divenire del mondo. Questo è il punto su cui quell’amalgama finora non riuscito (D’Alema) tra sinistra liberale e cattolici può formarsi. Ed è impressionante il nostro parlare d’altro. La concretezza è indispensabile. Ma la domanda che viene prima (se vogliamo essere una nuova speranza per gli italiani) è che cosa rischia di essere il futuro dell’umanità. Basta porsi questa domanda per capire che è tempo di restituire al riformismo il suo oggetto vero, che è la critica delle forze dominanti come si sono affermate a causa della grande mutazione del capitalismo. Ricordo che giorni fa Sarkozy e la Merkel si sono riuniti per discutere nientemeno che come rifondare il capitalismo. Il che conferma la mia impressione che il Pd si debba spostare più in avanti, su una posizione meno moderata».

Si aprono nuovi spazi per la sinistra anche in Italia?
«Mi sembra chiaro che ci sarà sempre più bisogno di un nuovo soggetto politico in grado di rappresentare una nuova base sociale che esprimerà bisogni umani e non il consumo superfluo e indotto dalla pubblicità, e quindi la domanda di nuovi beni, e quindi una redistribuzione della ricchezza. Solo noi, solo il Pd, possiamo essere questo soggetto. Ma allora, altro che partito dei sindaci. E soprattutto altro che riformismo dall’alto, senza popolo e subalterno al pensiero dominante, teorizzato in questi anni anche in casa nostra».

E ci sarà spazio, più in generale, per una politica che torni a mettere al centro gli interessi collettivi?
«Il degrado politico e morale a cui assistiamo è figlio di un sistema in forza del quale la politica, chiusa nei confini delle vecchie statualità, si declassava a sottosistema dell’economia finanziaria. La questione morale è questa: l’impoverimento etico della politica, la riduzione del rapporto sociale allo scambio economico».

Il rinnovamento del Pd, quindi, non va ridotto al tema del cambio generazionale, ma ai contenuti?
«Il rinnovamento del Pd deve intrecciarsi con i contenuti. Bisogna dare al partito non solo nuovi uomini ma nuove armi, nuova fiducia nel futuro».

Per raggiungere questo obiettivo, però, bisogna andare oltre le tregue tra i leader, non crede?
«Non so di quali tregue si parli, non è in discussione la leadership di Veltroni. Ma è essenziale indicare lo spazio nuovo che si è creato per il riformismo e su questo misurare gli uomini. Uno spazio che esiste per ragioni oggettive e per il modo come è cambiato il rapporto tra politica ed economia. Stiamo attenti perché una svolta è già in atto e in ogni caso ci sarà. Sarà democratica oppure autoritaria? Non nascondiamoci che si è aperto anche un vuoto molto pericoloso. Chi comanda? A questo interrogativo gli Usa hanno risposto, per fortuna, con la vittoria di Obama».

In Italia, invece?
«Il Paese è allo sbando e la destra si rivela incapace di governare. I segnali sono allarmanti: la guerra delle procure, il potere della criminalità che si estende anche in città del Nord, l’emarginazione del Mezzogiorno, il Parlamento che non fa più le leggi ma convalida i decreti del governo. Metà della popolazione che in Abruzzo non va a votare. Dunque,rialziamo la testa e domandiamoci con orgoglio se la democrazia italiana e l’unità dello Stato repubblicano possono reggere se si butta amare tutto ciò che ha rappresentato finora il collante etico-politico della nazione».

E nel Pd quale rapporto deve esserci tra l’innovazione e la storia, tra il nuovo e le radici dei riformismi che confluiscono nel partito?
«Un partito nuovo non si costruisce sul nulla, ma solo inverando il grande patrimonio anche morale che abbiamo alle spalle. E ciò non solo per conservarlo ma per ricavare da esso materiale per costruire il futuro. È una operazione molto difficile che per riuscire richiede un nuovo pensiero politico. Il codice genetico del riformismo italiano, e quindi anche del Pd, sta in quell’epoca, tra ‘800 e ‘900, quando nella Valle padana, ma anche in vaste regioni del Centro e del Mezzogiorno, socialisti, cattolici e repubblicani produssero una critica radicale dello Stato sabaudo e dell’Italietta liberale. Il realismo di quei movimenti stava nel fatto che la politica non si vergognava di produrre senso e visione del mondo, un mondo che anche allora viveva un grandioso mutamento».

da L’Unità del 16 gennaio 2009

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