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“«Spaghettifresser» quando gli umiliati eravamo noi”, di Roberto Sala

Di fronte al carattere talora convulso che il dibattito politico italiano ha assunto in tema di immigrazione, nella società civile sono frequenti le voci che invitano a ricordare il passato di emigrazione degli italiani: l’Italia, un paese che ha dato i natali a milioni di emigrati, non può – questo il ragionamento – cadere nell’esasperazione xenofoba.
Per molti versi si tratta però di una memoria che rimane astratta, lontana; riguarda infatti in particolare la «grande emigrazione» verso le Americhe a cavallo tra ‘800 e ‘900. Solo di recente, ed a fatica, si è iniziato a ricordare anche i flussi migratori che nel secondo dopoguerra videro l’espatrio di milioni di italiani verso i vicini paesi europei. Può darsi che questo ritardo di memoria sia dovuto al fatto che il viaggio in treno non risveglia nell’opinione pubblica quella dimensione mitica rappresentata dalla traversata in piroscafo. O forse la reminiscenza di flussi emigratori in tempi a noi più vicini risulta difficilmente compatibile con il benessere che oggi, nonostante tutto, il paese ha raggiunto.

L’importanza di rammentare l’emigrazione più recente diventa evidente se si considerano le particolari analogie tra la vita quotidiana degli italiani emigrati oltralpe e quelle degli immigrati in Italia. In ciò è esemplare il caso degli italiani in Germania, che attualmente, con più di seicentomila persone, è seconda solo all’Argentina per numero di cittadini italiani residenti.
Gli italiani emigrati negli anni Sessanta e Settanta in terra tedesca, provenienti principalmente dal Mezzogiorno, fecero nel loro quotidiano esperienze molto vicine a quelle vissute da chi oggi giunge in Italia. Se non erano addirittura alloggiati in baracche, gli emigrati (o immigrati, a seconda dei punti di vista) erano vittime in primo luogo di un mercato immobiliare iniquo. I padroni di casa tedeschi sfruttavano la carenza di alloggi per strappare ai migranti affitti capestro, non di rado per abitazioni fatiscenti e sovraffollate. Gli italiani furono inoltre vittime di un acceso razzismo.

L’immigrato italiano era considerato, più di migranti di altra origine, il violento dal coltello facile e dalle tendenze criminali, il macho che insidiava le donne, colui che era culturalmente incompatibile e che rubava il posto di lavoro al tedesco. Un reato commesso da un italiano finiva immediatamente al centro della cronaca. Contro gli Spaghettifresser, i divoratori di spaghetti, le discriminazioni erano all’ordine del giorno: sul posto di lavoro, nel condominio, negli uffici pubblici, negli ospedali. A scuola i figli degli immigrati venivano sistematicamente svantaggiati, e non soltanto per via delle loro carenze linguistiche. Nel reagire alle barriere erette dai tedeschi i migranti italiani spesso aggravavano inconsapevolmente il proprio isolamento sociale rinchiudendosi nei propri circuiti familiari e di amici.

Rispetto agli extracomunitari nell’Italia dei nostri tempi, gli emigrati italiani in Germania godevano del raro privilegio di avere quasi automaticamente diritto al permesso di soggiorno, grazie ai benefici della Comunità Economica Europea. Ma anche senza l’aggravante dell’incertezza giuridica, gli italiani erano confinati nei settori più insicuri del mercato del lavoro ed erano quindi colpiti da una forte precarietà sociale. Inoltre, gli italiani conducevano volutamente una vita morigerata e ritirata. Al principio chi emigrava non pensava di stabilirsi definitivamente all’estero: cercava quindi di spendere il meno possibile, al fine di sostenere i famigliari rimasti in patria – la cui lontananza era dolorosissima – e di accumulare risparmi, in regola per acquistare una casa nel luogo di origine. L’emigrato italiano tardava ad apprendere il tedesco, se non negli elementi essenziali, credendo di non doversene servire a lungo. Molti effettivamente tornarono in patria, moltissimi però rimasero e trassero grande danno dal proprio prolungato stato di provvisorietà.

Oggi gli italiani in Germania godono di un’immagine del tutto differente rispetto a due, tre decenni fa.
In seguito a tragici eventi come la strage di Duisburg del 2007, che richiamano l’attenzione sulla preoccupante presenza della criminalità organizzata italiana in Germania (in sé estranea alla collettività emigrata), rifà la sua comparsa l’etichetta poco gradevole di mafiosi. In generale però, gli italiani vengono considerati completamente integrati, sono gli “stranieri buoni”. La migliore reputazione dei migranti italiani non è tuttavia dovuta ad un loro reale progresso sociale. Conta la trasformazione positiva dell’immagine internazionale dell’Italia, da attribuire non da ultimo all’integrazione europea. Conta poi in particolare la commercializzazione del mito della dolce vita – i tedeschi sono diventati loro stessi grandi mangiatori di spaghetti. La gastronomia italiana in Germania, una porzione piccola ma molto visibile dell’emigrazione, ha tratto profitto dalla passione tedesca per lo stile di vita all’italiana, contribuendo ad alimentarla. Ciò non toglie che la dolce vita sia per lo più un’invenzione mediatica, sostenuta dall’industria turistica, tessile e alimentare. È un «pregiudizio positivo» che nulla centra con la realtà quotidiana dei migranti italiani, del tutto ignota in Italia. Sebbene anche tra i nuovi arrivati non manchi una quota, poco conosciuta, di persone non qualificate ed esposte ad un futuro incerto, i cittadini italiani che si trasferiscono oggi in Germania sono spesso laureati, professionisti o studenti espatriati nel contesto della nuova mobilità europea. Gli emigrati italiani di prima generazione però – ancora centinaia di migliaia di persone, per quanto anziane – non di rado conoscono tuttora malamente il tedesco e vivono in condizioni problematiche. I loro figli e nipoti hanno gravissime difficoltà a scuola e nel mercato del lavoro. E’ un disagio nascosto, ma che incide pesantemente sulla competitività dell’intero sistema sociale tedesco.
Gli elementi che hanno segnato i primi decenni di presenza degli italiani in Germania, segnano oggi in forme molto simili la vita degli immigrati stranieri in Italia: l’inadeguatezza delle infrastrutture abitative e del sistema scolastico, le discriminazioni xenofobe, l’ostilità dei media, la barriera linguistica, la precarietà di vita, la mancanza di pari opportunità.

L’Unità, 5 febbraio 2009