partito democratico

“Dare voce al lavoro”, di Felicia Masocco

In piazza per avere risposte. «Il nostro obiettivo è questo, come lo era il 12 dicembre -dice Guglielmo Epifani -. A prescindere dal gradimento al governo, e a noi non piace molto, il nostro problema è ottenere delle risposte. Per questo premiamo, lottiamo, facciamo propaganda come si sarebbe detto un tempo, perché la crisi è destinata a crescere, perché i lavoratori non sanno dove sbattere la testa e non vorremmo che andassero ancora a sbatterla contro qualche manganello. Vogliamo risposte, a meno che il governo non giochi sull’esasperazione del conflitto».
Perché questo sciopero e come si colloca nella strategia della Cgil?
«Nasce dall’esigenza che avevano il sindacato della funzione pubblica e quello dei metalmeccanici di un’iniziativa forte e di lotta di fronte alle politiche del governo nei settori pubblici e all’assenza di una politica industriale e di intervento pubblico in quella che è la più grave crisi nel settore meccanico di tutto il dopoguerra. Due esigenze che poi si sono unificate anche per dare una dimostrazione plastica al tentativo di dividere lavoro pubblico e lavoro privato. L’iniziativa sta dentro il percorso della Cgil cominciato il 27 settembre, proseguito con lo sciopero del 12 dicembre e che continuerà con i pensionati il 5 marzo, con lo sciopero della scuola e con la grande manifestazione che si terrà il 4 aprile al Circo Massimo».
Avanti insomma, non sembra avere grande fiducia nel futuro prossimo. Che cosa teme?
«I nostri timori si stanno purtroppo realizzando, avevamo parlato di una valanga, ebbene sta arrivando e vuol dire fabbriche che chiudono, precari che perdono il lavoro, cassa integrazione che esplode, crisi produttiva. Avevamo chiesto al governo un intervento di qualità e non c’è stato. Tolta una manovra di 5 miliardi fatta per decreto e una, più subita che voluta, di sostegno alla domanda nei settori beni durevoli, il governo non ha fatto altro. Basti pensare che la somma stanziata, 7 miliardi, corrisponde a quella che Sarkozy ha proposto per le due aziende dell’auto francesi. Corriamo il rischio che, grazie anche alle proteste, alla fine il governo finirà per essere tirato a fare scelte di spesa ma di farlo troppo tardi, con le stesse risorse e con effetti minori».
A proposito dei francesi. C’è qualcosa che a dicembre non era accaduto, la mobilitazione dei sindacati in altri paesi. Si disse allora che eravate soli…
«… È così, c’è stato lo sciopero generale unitario in Francia, lo sciopero dei servizi in Germania, una settimana di mobilitazione indetta dalla confederazione europea dei sindacati per metà maggio, ci sarà la manifestazione annunciata a Londra prima del G20 con un 1 milione di persone e scioperi in altri paesi. Quindi all’obiezione che ci è stata fatta, in particolare dal segretario della Cisl, che eravamo gli unici che scioperare dentro la crisi, io rispondo oggi che in realtà uno dei pochi che non sciopera è proprio lui».
Raffaele Bonanni ha definito questo sciopero antagonista.
«È uno sciopero per chiedere un cambiamento della politica economica del governo, per le tutele ai precari e sostegno a occupazione e imprese. Non capisco che cosa ci sia di antagonista. Lui deve dirlo perché se riconoscesse la verità poi dovrebbe giustificare perché non si muove».
Non sarà anche perché lo sciopero è contro l’accordo sui contratti?
«Sulle regole non si possono fare accordi separati. E non dico solo o contro la Cgil. Noi non avremmo fatto un accordo sulle regole senza o contro Cisl e Uil o Confindustria».
Walter Veltroni propone una mobilitazione unitaria di sindacati e imprese per chiedere al governo un piano anti crisi? Si può fare?
«Trovo giusto dire che, come in Francia, c’è bisogno di una mobilitazione dei sindacati. E trovo corretto che un partito dica che anche le imprese debbano rivendicare politiche più adeguate. Occorre però che i soggetti siano d’accordo. Oggi ci stiamo muovendo solo noi. Cisl e Uil non fanno né scioperi né mobilitazioni. Nelle imprese c’è qualcosa in qualche settore, ma ho impressione che la presidenza di Confindustria non ci pensi proprio. Per mobilitarsi contro il governo bisogna avere autonomia nei confronti del governo: la Cgil ce l’ha, sfido gli altri ad averne».
Se è successo nel tessile che sindacati e imprese si siano uniti in difesa del made in Italy, può ripetersi. Non è un buon modello?
«È un’iniziativa rilevante. Settimane fa sindacati e imprese hanno chiesto al governo un tavolo per la crisi del settore, il governo non ha neanche risposto».
Si parla di disgelo tra la Cgil e il Pd. Più di cento parlamentari hanno aderito alla vostra protesta, Veltroni ha espresso vicinanza e comprensione ai lavoratori ma non ha soddisfatto i segretari di Fp e Fiom che gli rispondono “o dentro o fuori”. Concorda?
«No. Un partito può non aderire, ma le parole di vicinanza e comprensione sono comunque un passo in avanti rispetto allo sciopero del 12 dicembre».

La Repubblica, 13 febbraio 2009