attualità

“Paghe d’oro a Domenica In”, di Laura Matteucci

I nove milioni all’anno di Alessandro Profumo? O la liquidazione d’oro di Matteo Arpe? La questione, denunciata ieri dall’Unità, in tempi di crisi, è rovente e ieri è finita a Domenica In. Promossa la proposta Cgil.
La proposta Cgil che secondo il vicepresidente di Confindustria Alberto Bombassei «alimenterebbe la lotta di classe» ottiene in una manciata di minuti oltre il 94% dei consensi. Mica degli iscritti al sindacato, ma degli spettatori di Domenica In chiamati al più trasversale dei riti dell’era moderna, il televoto: che ne pensano dell’applicazione di una «tassa di solidarietà» per i redditi sopra i 150mila euro l’anno da destinare al sostegno di disoccupati e precari, spiegata in trasmissione dal segretario confederale Cgil Agostino Megale? Un plebiscito: in mezz’ora chiamano 8263 persone, quasi tutte d’accordo. Come dire: decisamente impari, come lotta di classe. L’idea era già stata lanciata da Guglielmo Epifani il giorno dello sciopero, e sostanzialmente condivisa dal Pd nelle sue proposte anti-crisi: lo fa la Gran Bretagna, con qualche distinguo lo fanno gli Stati Uniti, perchè noi non dovremmo? La tassa aggiuntiva per i redditi più ricchi (215mila contribuenti) resterebbe valida due anni e, come calcolato dall’Ires Cgil, porterebbe in cassa qualcosa come 3 miliardi di euro.
Del resto, l’Unità aveva sollevato il tema degli stipendi d’oro proprio ieri, riportando opinioni di noti top manager e rendendo conto di un clima che, in tempi di grande depressione, si va facendo favorevole a tetti, tasse e freni a quelli che lo stesso presidente di Intesa SanPaolo, Giovanni Bazoli, definisce «eccessi».

Sproporzione
La sproporzione tra i pochi top manager e i molti comuni dipendenti diventa oggi più stridente. Il concetto si estende, e finiscono nel mirino anche i 2 milioni per il Sanremo di Bonolis e l’1,2 di Milly Carlucci. Solo populismo o è il momento, come auspica anche il governatore di Bankitalia Draghi, di darsi delle regole nuove?
L’economista Giacomo Vaciago, direttore dell’Istituto di economia della Cattolica, mette in guardia dai rischi che comporta addentrarsi in una materia «maledettamente scivolosa» come questa: «La cosa migliore sarebbe l’autoregolazione – dice – Nei paesi civili basta la moral suasion. Posso capire il discorso del tetto se applicato a società finanziate dai contribuenti, perchè di fatto si tratta di società pubbliche, il che potrebbe valere per la Rai. Ma gli stipendi privati sono decisi dal mercato. Una norma generale che li limitasse, in un libero mercato che oltretutto prevede anche la libera circolazione delle figure professionali, mi lascia francamente perplesso». E ancora Vaciago: «Molti parlano col senno di poi. Qui c’è una bolla che qualcuno ha cavalcato, c’è chi ha guadagnato milioni con le speculazioni. Perchè non ha parlato prima?».
Chi, l’abbiamo visto, è recisamente contrario, è il confindustriale Bombassei, anch’egli presente a Domenica In, secondo il quale peraltro in Italia non esistono «stipendi scandalosi» paragonabili a quelli americani.
Il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta si dichiara invece favorevole alla proposta di mettere un tetto ai bonus dei supermanager, ma solo nel pubblico: nel privato meglio una pressione fiscale più agguerrita, proporzionale al reddito. I tetti, sostiene, non gli sono mai piaciuti «perchè provocano comportamenti furbeschi di tipo opportunistico», da cui il ministro è notoriamente ossessionato.

L’Unità, 16 febbraio 2009