pari opportunità | diritti

“Se è un pericolo essere donna”, di Natalia Aspesi

La donna è tornata ad essere un corpo fragile, a disposizione di quello del maschio violento di ogni nazionalità e colore.
E i maschi violenti italiani, per lo meno quelli che progettano le ronde, sprangano immigrati e auspicano torce umane, adesso urlano a caso «Bastardi! Così imparate a stuprare le “nostre” donne!». Attraverso il confuso moltiplicarsi di fatti e notizie orribili, la donna sta perdendo la propria autonomia, la propria libertà, la fiducia in sé e negli altri. Sono gli uomini a riprendere il potere su di lei: quelli che la violentano, quelli che dovrebbero proteggerla, quelli che la vorrebbero soggetta, quelli che dicono, è “nostra”. Quelli che a nome suo pretenderebbero la castrazione del violentatore; e qui bisognerebbe sapere se il provvedimento, caso mai i leghisti insistessero, vale solo per i rom o anche per quegli italiani (forse persino leghisti) che nel confortevole riparo di casa ogni tanto sottopongono la “loro” donna alle massime molestie non solo sessuali. O per tutti quegli altri, sempre italiani, che erano il 58% degli autori dei 4465 stupri denunciati (più di 12 al giorno, solo una parte di quelli realmente avvenuti e taciuti) nel 2008.
Si sa che le donne hanno dovuto combattere anni perché lo stupro, da reato contro la moralità pubblica e il buon costume, fosse considerato finalmente un reato contro la libertà personale, e alcuni legislatori non erano poi così contenti, parendo ai più resistenti che fare quella brutta cosa lì era più che altro un peccato mortale, da punire appunto perché immorale. Quindi è solo dal 1996 che il codice penale riconosce il diritto della donna alla libertà di disporre del proprio corpo e di negarlo con tutte le sue forze a chiunque, senza per questo essere obbligata a imitare Maria Goretti. Anche se sino a un paio di decenni fa, una ragazza che uscisse viva da uno stupro e non stesse zitta, metteva in sospetto: senza dimenticare che più recentemente la Corte di Cassazione aveva ritenuto impossibile per uno stupratore riuscire a togliere i jeans a una ragazzina senza la complicità della stessa. Insinuando anche nella sentenza che tale è l´orrore dello stupro, che per impedirlo la vittima non avrebbe dovuto aver paura «di patire altre ipotetiche e non certo più gravi offese alla propria incolumità fisica». Tipo la morte.
Uno studio della solita Università di Princeton che ha un pallino per le cose del sesso, ha stabilito che in certi uomini, si presume insaziabili, la fotografia di una bella ragazza accende la stessa sezione del cervello che reagisce agli oggetti desiderabili; «come se la donna non fosse del tutto un essere umano», comunque umano quanto può esserlo un´automobile o un giubbotto firmato. Percepire la donna come un oggetto, qualcosa quindi da prendere, possedere, sottomettere, per ragioni biologiche e irrazionali, forse è vero e forse no, ma se fosse vero, basterebbe che gli uomini stessero davanti alla televisione perché i loro cervelli lampeggiassero di luci come Piedigrotta causando loro seri tormenti e impulsi riprovevoli. Ma a parte questa eventualità bizzarra, fa più paura una sorta di rancore muto e protervo che le donne sentono salire dal mondo maschile, rancore per la loro libertà di essere sessualmente disponibili o indisponibili a seconda della sola loro volontà, per la loro capacità di non aver padroni, di non dipendere, di non aver bisogno, di cavarsela da sole anche quando troppo spesso sono lasciate sole. Dagli anni 70 la maggior parte degli uomini ci ha provato ad accettare, e ce l´ha fatta, ma le donne sono a poco a poco diventate sempre più estranee al ruolo loro assegnato, intaccando il senso e il valore del ruolo opposto, quello maschile. Sono state troppo fiduciose e hanno creduto davvero di poter contare sulla libertà personale sino a usare il loro corpo da immettere sul mercato dell´immagine come un oggetto virtualmente desiderabile e accessibile. Non avevano fatto i conti forse col cervello maschile e le sue reazioni, certo non con la nuova fragilità e rabbia maschile.
Essere donna è tornato ad essere un pericolo, ed è la sua debolezza fisica ad essere colpita: minacciandola, spaventandola, violentandola, promettendole protezione. Ma se mai oltre alle parole si trovassero i soldi, che non ci sono, per quella famosa sicurezza che per ora consiste solo nel prendersela con gli stranieri e non riesce ad impedire le violenze (straniere e italiane) non solo contro le donne, si raccomanda alle eventuali forze dell´ordine di tener d´occhio anche le ronde, non si sa mai, nella storia ne han fatte di tutti i colori.

La Repubblica, 17 febbraio 2009

1 Commento

    I commenti sono chiusi.