pari opportunità | diritti, partito democratico

Quando il Parlamento è ridotto solo a “notaio”, di Beppe Del Colle

Su 45 leggi approvate nell’attuale legislatura, 44 portano la firma del Governo, una soltanto quella delle Camere; per di più, 25 di esse sono conversioni di decreti legge.

Prima la tragedia di Eluana Englaro e subito dopo la successione di gravi violenze sulle donne, spesso giovanissime, hanno portato alla ribalta della politica un problema, fra i tanti di questo difficile momento: i rapporti fra le istituzioni, e in primo luogo quello fra Governo e Parlamento, ma anche quelli con la presidenza della Repubblica, la magistratura, la stampa e infine la Costituzione stessa.

Per restare al primo di questi rapporti in crisi, basterà citare una cifra, segnalata da una fonte insospettabile, Il sole 24 ore: su 45 leggi approvate nell’attuale ancora breve legislatura, 44 portano la firma del Governo, una soltanto quella delle Camere; per di più, 25 di esse sono conversioni di decreti legge. Il Governo ha posto in questi 10 mesi 11 volte la questione di fiducia, come quello di Romano Prodi, con la differenza che, rispetto a quest’ultimo, Berlusconi dispone in Parlamento di una maggioranza che lo dovrebbe esimere da qualsiasi timore di non farcela su qualsiasi provvedimento.

Si può discutere se, sia a proposito del “fine vita” di Eluana sia del problema degli stupri, fosse giustificato – per necessità e per urgenza – il ricorso al decreto legge; ma l’eccezione non può diventare la regola. Il rischio è, anzi, che si trasformi in un modo di governare “dall’alto”, senza fastidi da parte di un Parlamento ridotto a notaio, dove una maggioranza “bulgara”, eletta senza voti di preferenza e dunque sulla pura scelta del leader, assicura il potere, e certe volte lo strapotere, dell’Esecutivo.

Esagerazioni? Si guardi a tutti gli altri problemi sul tappeto. Ad esempio, la riforma della Giustizia, prospettata in modo da condizionare e ridurre l’indipendenza e i poteri dei magistrati (anche col divieto delle intercettazioni in assenza di “gravi indizi di colpevolezza”, mentre finora bastavano, giustamente, “gravi indizi di reato”); e da tappare la bocca ai cronisti giudiziari fino all’inizio dei processi, anche se i fatti relativi a un delitto non sono più coperti dal segreto istruttorio.

Il tutto, sostiene il Governo, per tutelare la “privacy” dei cittadini, che possono essere coinvolti in un’indagine senza aver fatto nulla di male, se non qualche conversazione telefonica con indiziati. Ma ne vale la pena? I giudici dicono di no, e ricordano quanti e quali processi non si sarebbero fatti, anche per delitti gravissimi, senza intercettazioni.

I conflitti con il capo dello Stato si identificano nel più complesso rapporto fra l’attuale potere e la Costituzione. Una ragione di fondo c’è: la Carta fondamentale fu concepita e redatta da una generazione politica del tutto figlia del suo tempo, e oggi scomparsa. Delle tre grandi correnti politiche dell’immediato dopoguerra – quella liberale, quella socialista, quella cattolica –, contrassegnate a quel tempo tutte e tre dall’antifascismo, non esiste quasi più traccia, e comunque non c’è più nessuno dei partiti in cui venivano rappresentate.

In compenso, al Governo c’è una forza politica in cui convivono schegge del passato (ex dc, ex comunisti, ex socialisti, ex liberali, ex repubblicani, ex radicali) legate dalla fedeltà a una leadership personale, alleate con gli eredi ideologici del fascismo (sia pure convertiti alla democrazia) e la Lega, che dell’unità costituzionale dell’Italia persegue (sia pure democraticamente) la fine.

L’Italia è cambiata, da Paese di emigrazione a Paese di immigrazione, e con essa stanno cambiando l’Europa e il mondo. La paura dell’immigrato passa, da noi, su tutto il resto. E questo può spiegare tante cose.

Famiglia Cristiana n. 08 del 22 febbraio 2009