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“La ricerca ai ricercatori? il Governo dice no”, di Luciano Modica

Nella vita breve e difficile dell’ultimo Governo Prodi spiccava il successo dell’approvazione nel settembre 2007 della legge delega sugli enti pubblici nazionali di ricerca. La saldezza della maggioranza e l’apertura a contributi migliorativi importanti dell’opposizione permisero infatti di introdurre per la prima volta nella nostra legislazione e con un largo consenso parlamentare l’autonomia statutaria del CNR e degli altri enti di ricerca in attuazione della Costituzione, della Carta Europea dei Ricercatori e di una raccomandazione comunitaria del 2005.

Diciott’anni dopo l’autonomia universitaria anche gli enti di ricerca venivano così resi responsabili di poter determinare autonomamente i loro stessi statuti “al fine di salvaguardarne l’indipendenza e la libera attività di ricerca, volta all’avanzamento della conoscenza, ferma restando la responsabilità del Governo nell’indicazione della missione e di specifici obiettivi di ricerca per ciascun ente”. L’organizzazione della ricerca pubblica veniva affidata dallo Stato ai suoi stessi ricercatori e non alla longa manus della politica.

Caduto il Governo Prodi, la delega è passata al Governo Berlusconi. Il Ministro Gelmini ha lasciato trascorrere inutilmente quasi un anno salvo ispirare o quantomeno lasciar correre un recente colpo di mano parlamentare. Il 26 febbraio nell’aula del Senato con un emendamento del relatore ad un provvedimento di tutt’altra natura – quindi sfuggendo al controllo di merito della commissione competente – la delega è stata prorogata ma la legge profondamente snaturata.

La prima stesura degli statuti era stata affidata ai consigli scientifici degli enti, quindi ad organi che sono espressione democratica dei ricercatori. Ora è stata invece affidata agli attuali consigli di amministrazione, quindi ad organi di nomina governativa. Il segnale è chiaro: nessuna fiducia ai ricercatori, il governo si riprende in mano gli enti di ricerca a dispetto dell’autonomia costituzionalmente garantita e delle buone pratiche europee.

Una seconda modifica prevede che sugli statuti e sui regolamenti degli enti si esprimano ben tre ministri ma non le commissioni parlamentari competenti. L’attuale maggioranza era opposizione quando la legge fu approvata e fece fuoco e fiamme, giustamente, affinché fosse previsto il parere parlamentare su temi così delicati come gli statuti degli enti pubblici nazionali di ricerca. Ora se ne è evidentemente dimenticata.

Purtroppo è l’ennesimo segnale di un Governo che vorrebbe volentieri fare a meno del Parlamento democratico e per il quale i provvedimenti bipartisan sui temi cruciali per il futuro del Paese come la ricerca rimangono solo spot elettorali o furbizie mediatiche.