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“Investire nella ricerca. Una lezione per l’Italia”, di Guido Barbujani

Faceva un certo effetto leggere i commenti di Michael Moore, regista di Farenheit 9/11 e oppositore di George W. Bush, sull’elezione di Barack Obama. «Come sarà avere un presidente intelligente? Ritornerà la scienza, messa al bando per otto anni». Quindi, mentre il mondo si interrogava su cosa sarebbe cambiato col nuovo presidente a Wall Street e in Iraq (tranne quelli che facevano gli spiritosi sul colore della sua pelle), in America si pensava anche al futuro della scienza. In Italia non ce ne potevamo accorgere, presi come eravamo a discutere su come sbarazzarci della ricerca e dell’Università pubbliche, ma neanche negli Stati Uniti gli scienziati se la passavano bene. La presidenza Bush si è caratterizzata con iniziative pesantemente ideologiche, che hanno avuto conseguenze negative sullo sviluppo della ricerca.

E invece, adesso, in America la ricerca è una priorità. Fra i primissimi provvedimenti del presidente Obama c’è infatti l’abolizione del regolamento che aveva di fatto fermato la ricerca sulle cellule staminali embrionali. La notizia, seguita dall’annuncio di nuovi studi clinici e di grossi investimenti pubblici, ha provocato immediate prese di posizione: positive da parte di molti, con annunci di ulteriori investimenti privati e annunciate migrazione di scienziati verso gli Stati Uniti; negative da parte di alcune associazioni e della stessa Chiesa Cattolica.

Allora, è giusto investire denaro pubblico sulle staminali embrionali? È evidente che, nel distribuire i fondi per la ricerca, i governi devono considerare molti elementi, tra cui la diffusione delle malattie che si intendono curare; la bontà del progetto scientifico; le questioni etiche; l’armonizzazione con la legislazione e le disposizioni di altri paesi. Gli ultimi due punti rappresentano il nodo più complesso, un nodo che stringe anche i ricercatori italiani (la legge 40, oggetto del noto referendum). Ma cosa sono le cellule staminali embrionali e in cosa si differenziano da quelle adulte? Leggiamo le definizioni date dal MeSH database (il più grande dizionario medico: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/sites/entrez?db=mesh). Le cellule staminali embrionali sono «Cellule derivate dalla massa cellulare interna della blastocisti, che si formano prima dell’impianto nella parete uterina; queste cellule mantengono la capacità di dividersi e proliferare, e forniscono le cellule progenitrici che si possono differenziare in cellule specializzate». Le cellule staminali adulte sono «Cellule con elevate capacità proliferative e di auto-rinnovamento derivate dall’adulto».

Secondo il MeSH database, quindi, conta la provenienza: per le embrionali la blastocisti, per le adulte gli organi dell’individuo adulto. Attenzione: la blastocisti non è l’embrione come comunemente inteso, cioè un minuscolo individuo con aspetto già riconoscibilmente umano; si tratta invece di una piccola sfera contenente le cellule da cui si formeranno l’embrione e poi il feto.

L’intervento di Obama è volto a consentire l’utilizzo di cellule provenienti da blastocisti generate in soprannumero nella fecondazione assistita, che già si trovano in congelatori e che quindi andrebbero comunque incontro alla morte. Dal punto di vista pratico, la differenza più importante sta nel fatto che, mentre le cellule staminali embrionali sono in grado di produrre tutte le parti dell’organismo, quelle adulte sono in grado di generare solo le cellule che compongono il tessuto entro il quale si trovano. Per gli scienziati, è ovviamente preferibile avere a disposizione l’intero ventaglio di possibilità, che include anche altre tipologie cellulari come le iPS (cellule indotte alla multipotenza). Al momento possiamo dirci convinti del fatto che le cellule staminali consentiranno di trattare molte gravi malattie, ma non sappiamo quale tipo si rivelerà migliore. Solo studiandole e confrontandole con quelle adulte capiremo in quali circostanze siano meglio le une o le altre, e perché: cose che dobbiamo ancora esaminare a fondo perché ad oggi, a dispetto di annunci eclatanti sulla stampa e sul web, l’unica terapia con staminali sicuramente efficace resta il trapianto di midollo osseo.

Ma allora, se davvero la ricerca è una priorità, se davvero le cellule staminali rappresentano la più promettente strategia per il trattamento di malattie devastanti e incurabili, perché non dovremmo investire nella ricerca sulle embrionali?

Com’è noto, il problema è etico: se va attribuito status di persona alle cellule della blastocisti (meglio essere precisi e non usare il termine embrione, che suscita reazioni emotive non corrispondenti alla realtà). I sostenitori del sì ritengono che queste cellule siano una persona perchè hanno il genoma (il DNA) dell’adulto e la potenzialità per diventare individui adulti. Ad altri, la tesi che una blastocisti sia già una persona non convince, perchè è possibile (e spesso succede) che essa si divida e dia origine a gemelli, cioè individui che hanno lo stesso genoma ma non sono certo la stessa persona.

È curioso che, mentre la scienza si interroga su come dalla materia biologica possano emergere funzioni superiori (emozioni, memoria, intelletto, ciò che davvero definisce la persona), alcuni si concentrino sui meccanicismi della genetica. Con fatica, stiamo superando l’idea che una persona possa essere definita in base ai propri geni: varrebbe la pena di non tornare indietro. Se no, sarebbe come dire che è il colore della pelle («l’abbronzatura») quello che conta davvero…

(Guido Barbujani è professore di Genetica e Michele Simonato professore di Farmacologia all’Università di Ferrara)

L’Unità, 10 marzo 2009