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“Election day, cartolina Pd al premier. L’Italia risparmia 460 milioni”, di Laura Matteucci

Non so perché Berlusconi sia così umile e dica di avere solo il 43%, io ho un sondaggio qua in tasca secondo il quale il suo partito è già al 51% e alle europee può arrivare al 92%». Degna fine della politica fatta sondaggio, ridicolizzato in un nuovo botta e risposta tra il «clerico-fascista» capo del governo e il «catto-comunista» capo dell’opposizione. Il primo è a Cernobbio, sul lago di Como, a parlare ai commercianti, il secondo poco distante, alla Fiera di Rho, fuori Milano, a parlare ai dirigenti del Pd di domani, un migliaio di delegati massimo trentenni, arrivati da tutta Italia per eleggersi i rappresentanti nella direzione nazionale. Dario Franceschini è lì presto la mattina, maglione azzurro, giacchetta di pelle, molte strette di mano e nessun cordone sanitario intorno.

Prima di entrare in sala, fermata in Posta contro l’ultimo spreco del governo Berlusconi, il rifiuto dell’election-day, con una cartolina spedita a palazzo Chigi. Titolo: «Presidente, aiuta gli italiani davvero e unifica la data del voto». Sottotitolo: «Votare in due giorni diversi per elezioni e referendum comporterà un costo in più di oltre 460 milioni, perché buttare questi soldi dello Stato e dei cittadini? Sono soldi veri, quelli che chiede anche Confindustria per combattere la crisi».
Quando il segretario del Pd entra in sala, nel balletto delle forbici più ampie o più strette, una cosa è certa: un sondaggio tra i ragazzi arrivati a Rho lo vedrebbe trionfante. «All’inizio non ero convinto, ma più parla e più cambio idea. Mi piace il suo pragmatismo.
Si sente di nuovo parlare di politica, di cose vicine alla gente». Luca viene dalla Sicilia insieme ad altri 70 delegati, hanno preso un aereo di andata ieri mattina e uno di ritorno ieri sera.
Non sono dissimili dagli altri 900 ragazzi presenti: c’è chi ha dormito poco e chi niente, chi ha organizzato pullman da Napoli e chi viaggi in auto o in treno o in aereo, da Mestre, Firenze, Roma, Pescara, da Cagliari. Sono i ragazzi «normali», che si arrangiavano a fare qualsiasi lavoretto già prima che glielo consigliasse Sacconi, che intanto studiano all’università.
Quelli che vanno su Facebook «perché è un modo anche quello di fare politica», come dice Maria Laura da Palermo, che girano il mondo low-cost, che quando hanno votato per la prima volta sulla scheda hanno trovato Pd o, al massimo l’Ulivo. E che a sentire parlare Franceschini, quello che all’inizio «sembrava una fotocopia sbiadita di Veltroni», perdi più «nominato senza congresso», si spellano di applausi, ritrovano l’«orgoglio di non rincorrere Berlusconi», e commentano «finalmente si sente qualcosa di sinistra», nientemeno. Per i più diffidenti come Claudia e Antonio da Sassari «non è una svolta seria», ma in attesa del sospirato congresso in fondo va bene così, eppoi «le prime mosse non sono male».

L’amalgama è compiuto. Nella giovane base Pdl e ex appartenenze politiche, Ds e Margherita, laici e cattolici, suonano old style e totalmente incomprensibili. È per questo che applaudono di più quando Franceschini si rivolge direttamente a loro, esortandoli ad una militanza politica senza divisioni interne: «Non declinate la vostra appartenenza in base al nome di un leader o dell’altro, franceschiniani, dalemiani, veltroniani, dividetevi in base alle idee, ai progetti. E difendete la vostra autonomia: a 20 anni non bisogna avere paura di dire qualcosa contro il proprio partito». Lui dal palco invita a «sporcarsi le mani» e rispolvera il diritto all’utopia. Qualcuno in sala, i più osè, parlerebbe di emozioni.

L’Unità, 16 marzo 2009

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