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“Gli italiani che sbagliano e fanno le vittime”, di Beppe Severgnini

Oggi parliamo di plagio accademico, cori contro Balotelli, professionisti ingordi e cemento (male) armato. I fili italiani sono sottili e tenaci: trovarli è possibile, tagliarli troppo faticoso. Cominciano dalle università. A differenza di quelle inglesi o francesi, sono sprovviste di software di rilevamento del plagio. Secondo la società Six Degrés, che ha condotto una ricerca su 2.000 atenei e istituti, il 50% delle tesi contengono più del 5% di similitudini da Internet. Traduzione: metà degli studenti copia. Alle superiori, l’84% delle tesine dell’ultimo anno sono del tutto o in parte copiate. Voi direte: segreto di Pulcinella. D’accordo: ma il plagio è vietato, talvolta è reato. In molti Paesi, Usa in testa, l’azione è giudicata grave e disonorevole. Uno studente sorpreso a copiare è punito severamente, talvolta espulso. Forse perché al liceo ho peccato, non mi sento d’essere troppo severo. Ai tempi, però, si trattava di una soffiata o una sbirciata. Oggi si copia su scala industriale. Perché fare una ricerca se si può fare copia-incolla da Wikipedia? Alla stessa conclusione, devo dire, arrivano anche valenti colleghi — e sedici anni non li hanno più da un pezzo.

All’università le colpe sono più gravi, e non nuove. Anche prima del Web le facoltà erano consapevoli della compravendita delle tesi: il ragazzotto ricco e pigro acquistava dal bravo studente, desideroso di guadagnare. Gli studi professionali d’Italia sono pieni di questi campioni (hanno appena alzato gli occhi dal giornale/ schermo, sperando che nessuno li abbia visti arrossire). Tranquilli: niente prediche, in Italia sono fiato sprecato. Dico solo che esiste una regola (acquistare la tesi è vietato), da tutti ignorata.

Lo stesso meccanismo opera in altri campi. L’evasione fiscale, in cui intere categorie sguazzano, guadagnando 200 e dichiarando 30 (se dicessi quali scatterebbe l’indignazione piagnucolosa, e magari la querela). Gli appalti pubblici, dove si viene pagati per fare qualcosa, e si fa molto meno, in molto tempo, con materiali molto scadenti (poi arriva il terremoto, e salta fuori l’inghippo). Un amico mi ha spiegato perché i contratti di pulizia e manutenzione con enti pubblici sono tanto ambiti: ci si fa pagare il massimo e si spende il minimo, riducendo il numero di interventi e ingaggiando extracomunitari in nero. Tanto, chi controlla? E Balotelli? dirà chi ha letto fin qui sperando in una bella polemica Inter-Juve. Be’, gli gridano «Negro di merda!» in tutti gli stadi d’Italia. A casa mia questo si chiama razzismo, e del peggiore. Invece, una volta ancora, si tende a far finta di niente, a far passare un reato per un vezzo, una schifezza per un’indelicatezza. Dite un po’, fratelli d’Italia: voi vi sentite orgogliosi? Io non tanto.

Corriere della Sera, 21 aprile 2009