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“La memoria e il futuro”, di Vittorio Foa

Con la memoria della Shoah abbiamo imparato a celebrare non soltanto chi cade in guerra ma chi è vittima innocente, il civile. Possiamo ricordarne i nomi e le età e celebrare in una memoria carica di insegnamento la morte di chi non immaginava di morire.
Con il 1945 abbiamo ricostruito il sistema dei partiti, per seguire l´esempio dei paesi vincitori e anche per riallacciarci al passato, dopo vent´anni di soppressione dei partiti. Ma successivamente i partiti hanno lasciato troppa insoddisfazione.
Mi sembra che esista un fenomeno dai tempi lunghi: una destra profonda che prende le forme più varie, a volte persino forme di sinistra. Le forme della destra profonda possono essere nazionaliste, militariste, razziste, fasciste, o puramente liberistiche. In tutti questi casi la chiusura nel proprio particolare, nella famiglia e il proiettare il rapporto con il mondo sulla propria particolarità diventano dominanti.
Le lotte politiche fra i partiti socialisti, comunisti e democristiani si susseguirono per anni, fin verso la fine del secolo, quella di cui stiamo ancora adesso vivendo gli esiti, che ha visto la fine dei partiti. Il partito socialista che aveva sperato di ereditare dai comunisti la loro base elettorale, è scomparso insieme con essi. L´Italia è l´unico paese in cui questo sia successo. Il socialismo è in declino in tutti i paesi europei e non esiste negli Stati Uniti. Cosa vuol dire, che il socialismo non ci sarà più? Questa è la mia previsione, almeno per i prossimi anni.
Negli anni Sessanta, una parte dei sindacati lasciò la dipendenza dalle confederazioni e scelse la linea dell´unità sindacale: lavorare insieme estendeva le possibilità di ricerca e inoltre portava a comprendere che il conflitto non nasce dalla miseria ma soprattutto dagli sviluppi comparativi. La linea dell´unità sindacale fu troppo presto abbandonata. Adesso abbiamo un´occasione: liberiamoci finalmente delle ideologie anche nel campo del lavoro.
Ho ricevuto la visita di una delegazione della Cisl di Padova e Lorenza Leonardi mi ha chiesto, a quanto ho capito, se ero d´accordo che nella linea dell´unità sindacale, svincolato il sindacato dai partiti, non ci fosse più solo il contratto, ma anche tutto il resto, cioè la nuova povertà. Evidentemente sono d´accordo.
Alla fine del secolo ventesimo, i partiti politici che dal 1945 avevano sorretto la politica italiana sono scomparsi sotto un´accusa che era giusta, anche se non era sincera, cioè per il fatto che dipendevano da premesse ideologiche. La più profonda anomalia della situazione italiana è, a mio giudizio, quella della permanenza dei sindacati, ognuno dei quali riferito a una realtà che non esiste più: quella dei partiti con le loro ideologie. Possiamo sperare di unificare il lavoro superando le ideologie ormai vuote di significato dei vecchi partiti? Possiamo sognare un´unità sindacale nella quale tutti i lavoratori possano confrontare le loro idee, le loro speranze, le loro sofferenze? Non so perché, ma mi sembra che l´unità sindacale alla quale io penso non unificherebbe soltanto la tecnica sindacale, ma andrebbe oltre. Nessun contratto sindacale risolve i problemi della felicità, neanche accenna a risolverli. Eppure la ricerca delle nuove povertà vuol dire la ricerca da parte del nuovo sindacato sul modo di vivere, sul modo di migliorare sul serio la nostra vita collettiva. Pensare alla fine del secolo ci costringe a sentirci più responsabili di quello che eravamo anche in passato, tutto va ripensato insieme con gli altri, bisogna pensare al futuro senza pensare soltanto a noi stessi. Dobbiamo sentirci diversi dal passato, se non riusciamo a fare questo finiremo per essere ancora poveri oltre che nei fatti anche nelle idee rispetto agli altri. Ecco perché, nel campo del lavoro e delle infinite ingiustizie che la sua realtà ci rivela, io credo all´unità dei lavoratori, alla forza che può derivare dal sentirsi uniti.
Nella seconda parte del secolo attraverso varie vicende ha prevalso la funzione centrista della politica. Voglio ricordare la figura emblematica di Togliatti, sinceramente doppia, come campione di difesa della democrazia italiana e come capo dell´Internazionale comunista. E poi quella di De Gasperi. Oggi non si parla più di politica, nessuno parla del futuro, tutto è una ricerca a sfruttare il presente. A volte ci sembra che la stessa politica sia fuori di ogni pratica possibilità, che non si possa più lavorare insieme per sé e per gli altri, per sé e per tutti.
Si potrebbe invece pensare, per quel che riguarda il futuro, in relazione all´eventuale mutamento della direzione politica americana a una diversa distribuzione delle risorse a livello mondiale e quindi a un diverso livello dei prezzi: l´apertura di una fase di interventismo sui prezzi potrebbe cambiare il quadro.
Torniamo dunque all´Italia, torniamo alle vicende di questo fine secolo che ha visto, a mio giudizio, la maggior parte delle persone ripiegarsi su se stesse: è possibile ricondurle ad un agire che abbia significato universale, a non pensare solo a se stessi e neppure solo agli altri, ma a pensare a se stessi insieme agli altri? Io credo profondamente nella possibilità per la mente umana di scegliere delle vie positive e non soltanto la via dell´egoismo.
Possiamo aiutare questo sviluppo dell´umanità? C´è chi dice che potremmo utilizzare altri parametri, per esempio quello dei diritti umani, che è indipendente dalle nazioni, dalle religioni e dai partiti. È una prospettiva seducente, da approfondire.
Vorrei fare delle osservazioni sul paradosso eleatico. Tutti sono convinti che Achille vince la corsa con la tartaruga, ma tutti sanno che nessuno è in condizione di dimostrare la vittoria di Achille. Vi sono delle ragioni numeriche, relative al calcolo dell´infinito, che nessuno è riuscito a risolvere. Ma vi può essere anche una ragione più profonda: Achille è la guerra e la guerra produce altra guerra. In ogni caso Achille, ovunque si presenta, uccide, annienta e vince. Tuttavia non c´è totalitarismo che possa coprire ogni evento storico: Achille può uccidere da tutte le parti, ma la tartaruga è sempre lì, raccolta nei suoi piccoli e lenti passi, a riflettere sulle vicende del mondo e a sognare che alla guerra assoluta si possa rispondere con la pace.
Quando io sono nato, l´Europa era sul punto di scannarsi, divisa in nazionalismi contrapposti. Ed era al centro del mondo. La guerra ha significato anche l´inizio dell´abbandono della sua posizione centrale, con l´entrata dell´America in Europa. Oggi, non ci sono più frontiere e stiamo avviandoci verso l´unità. Ma l´Europa non è più centrale. Forse è un bene.
Siccome credo profondamente nella libertà, non credo solo nella libertà di ciascuno di dire quello che pensa, ma credo anche nel fatto che le idee di ciascuno possano e debbano cambiare.

La Repubblica, 21 aprile 2009