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25 aprile: nascita della democrazia italiana

Stamane l’on. Manuela Ghizzoni ha tenuto il discorso ufficiale nell’ambito delle celebrazioni del 25 aprile a Novi di Modena. Di seguito pubblichiamo l’intervento.

«Sono onorata e ringrazio l’amministrazione per l’invito a tenere il discorso ufficiale nel giorno della Liberazione.
Quando vengo invitata a celebrare il 25 aprile, o a ricordare vicende del periodo della guerra nei comuni della Prima Zona partigiana (Carpi, Soliera, Campogalliano e Novi), avverto sempre il peso – l’onore sì, ma anche l’onere – dell’eredità morale e civile che deve caricarsi sulle proprie spalle chi parla di Resistenza nel nostro territorio.
Anche per me, che ho le mie radici famigliari in queste terre, non è mai semplice ricordare le vicende belliche nei comuni della Prima Zona, dove è stato pagato un tributo di sangue altissimo negli anni più bui del nostro Novecento, dove ad ogni crocevia c’è un cippo che ricorda il sacrificio di partigiani morti per la libertà, dove la terra su cui appoggiamo i piedi ha accolto corpi senza vita di tanti civili vittime della guerra e delle rappresaglie.
E dove ogni parola rischia per queste ragioni di apparire inadeguata o, viceversa, retorica.
Qui, l’epilogo tragico della guerra successivo all’8 settembre 1943 ha assunto toni aspri, sconosciuti ad altre regioni italiane. Alla ferocia nazifascista si sono contrapposte le forze antifasciste che diedero alla lotta di liberazione una dimensione veramente epica, di massa, di popolo.
Il movimento partigiano nella pianura emiliana ha rappresentato nel panorama italiano una delle esperienze più avanzate dal punto di vista militare, benché il territorio pianeggiante privo di boschi e anfratti non favorisse certo la guerriglia, rendendo quindi ogni azione molto rischiosa.
Eppure, nonostante le condizioni morfologiche non favorevoli, il contesto sociale e il sostegno delle popolazioni civili consentirono alla Resistenza di radicarsi e di diffondersi capillarmente. Nella nostra provincia furono quasi 20.000 i partigiani e i patrioti combattenti riconosciuti; e tra loro figuravano circa 2000 le donne, che svolsero un ruolo fondamentale. Alcune parteciparono attivamente alla lotta armata, molte sostennero le forze antifasciste come staffette e con iniziative di supporto logistico e materiale.
Per tutte loro e per noi, loro figlie e nipoti, la partecipazione alla lotta di Liberazione ha rappresentato un tornante fondamentale nel percorso lungo e accidentato di acquisizione della vera cittadinanza, cioè l’acquisizione dei diritti politici, civili e sociali. A partire dal diritto di voto, che fu esercitato dalle donne per la prima volta nel 1946.
A questo proposito fatemi cogliere l’occasione per ricordare una donna straordinaria che in questi giorni viene commemorata in alcune iniziative, come il bel libro a cura del Centro Documentazione Donna di Modena che ne ricorda la vita e l’impegno politico e civile. Si intitola «Un paltò per l’Onorevole», facendo riferimento al fatto che furono le donne dell’UDI a confezionarle un cappotto nuovo, buono, quando fu eletta deputata nel primo Parlamento repubblicano. E lei lo indossò per entrare a Montecitorio, come simbolo della solidarietà femminile e dei nuovi diritti politici acquisiti dalle donne.
Come avrete capito sto parlando di Gina Borellini, Medaglia d’Oro della Resistenza, che ci ha lasciato nel febbraio di due anni fa ma il cui ricordo è e rimarrà sempre vivo. Perché ha ragione il premio nobel Rita Levi Montalcini quando afferma che dopo la morte del corpo, a noi sopravvivono le nostre azioni, i nostri pensieri e soprattutto i nostri valori. E certo di Gina Borellini restano i valori democratici che le hanno ispirato le scelte coraggiose, restano i pensieri come quello scritto pochi mesi prima di morire, nel quale afferma «la Resistenza è stata una grande lotta del nuovo contro il vecchio mondo portatore di fascismo e guerre e per questo ha visto mobilitate migliaia di giovani e ragazze».
E soprattutto rimarrà viva la testimonianza civile e di libertà rappresentata dalla sua vita. La testimonianza di una donna che, come molte che hanno vissuto nella pianura modenese della prima metà del Novecento, è cresciuta in campagna, dove la terra brucia d’estate, la nebbia svuota i polmoni in autunno, il freddo entra nelle ossa d’inverno. Nella giovinezza di Gina Borellini le stagioni scandivano i tempi di lavoro nei campi e il ritmo della vita quotidiana, mentre la fatica fisica era una compagna quotidiana.
Lo squadrismo fascista intanto cancellava i diritti conquistati dal movimento sindacale e preparava la strada al regime di Mussolini, che di lì a breve si sarebbe reso responsabile della cancellazione delle regole democratiche, della persecuzione e della carcerazione degli oppositori, e avrebbe condotto il paese verso una disastrosa guerra al fianco di Hitler.
Gina Borellini è cresciuta in quegli anni terribili, si è sposata giovanissima come spesso accadeva allora alle donne. E come tanti della sua generazione ha assunto responsabilmente il dovere di una scelta etica per la libertà: ha scelto di combattere contro l’occupante tedesco e il fascismo di Salò. Ha pagato un prezzo altissimo perché ha visto morire fucilato il proprio uomo, perdendo ciò che aveva di più caro. Ma ha continuato a lottare per il futuro del Paese, per la democrazia.
Eppure qualcuno oggi ha il coraggio di dire che donne così, che uomini così, si sono appropriati della memoria della Resistenza e che non meritano di essere celebrati.
Tra questi vi è il ministro La Russa che ha negato il valore e l’importanza di una parte consistente della lotta partigiana, ossia quella legata al Partito comunista.
Quando sento certe dichiarazioni, non so se preoccuparmi di più perché coloro che le fanno non dicono ciò che pensano, o perché, ed è perfino peggio, pensano ciò che dicono.
Al movimento partigiano italiano hanno partecipato 250.000 combattenti, senza contare la vasta rete di solidarietà che si mobilitò in sostegno dei partigiani, di ogni orientamento politico e culturale: cattolici, socialisti, liberali, repubblicani, azionisti. Ma lo sanno tutti (anche La Russa), che l’apporto dell’allora Partito comunista fu determinante per i movimento di liberazione e per la Resistenza italiana al nazifascismo. Lo ricordava sempre Ermanno Gorrieri, che certo non può essere tacciato di filocomunismo, ma che fu un grande e onesto democratico cattolico, oltre che un coraggioso partigiano.
Voglio affermarlo con le inequivocabili ed autorevoli parole del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: non si può “svalutare e diffamare, come purtroppo è accaduto e ancora accade l’esperienza partigiana, il cui contributo, piaccia o non piaccia, fu determinante per restituire dignità, indipendenza e libertà all’Italia”.
E come ricordava qualche giorno fa Giorgio Bocca, la Resistenza non ha colore e comunisti, cattolici, socialisti, azionisti, liberali combatterono uniti contro i nazifascisti per portare la libertà e la democrazia nel nostro Paese.
Insieme al contributo delle forze antifasciste, mi preme ricordare anche la Resistenza civile e non armata, ma non per questo meno efficace e capace di creare il vuoto intorno agli occupanti e ai fascisti della Repubblica sociale italiana, i quali erano consapevoli di essere circondati da ostilità e di non godere del sostegno della popolazione locale. La popolazione appoggiava il movimento di liberazione, dando rifugio ai ricercati, curando i feriti, proteggendo i clandestini e concordando con i partigiani le azioni di lotta.
Celebrare il 25 aprile significa ricordare tutte le sfumature e le diverse forme di Resistenza:
– la Resistenza combattuta dai partigiani delle formazioni comuniste, socialiste, cattoliche, azioniste;
– la Resistenza dei militari, abbandonati a loro stessi dopo l’8 settembre, trucidati come accadde a Cefalonia o deportati in Germania non come prigionieri di guerra ma come traditori;
– la Resistenza realizzata con atti di sabotaggio o con gli scioperi degli operai nelle città;
– la Resistenza compiuta con azioni di sostegno logistico e organizzativo alle formazioni partigiane intraprese dalle donne, quando non divennero loro stesse combattenti;
– la Resistenza attuata dai tanti parroci e religiosi e dai tanti civili che vollero dare aiuto agli antifascisti e agli ebrei perseguitati.
È grazie a tutte queste forme di Resistenza e alla vittoria degli alleati sul nazifascismo nella seconda guerra mondiale che nacque la democrazia e per il nostro Paese fu possibile un nuovo assetto istituzionale, politico e sociale, nel quale tutto il popolo italiano ha potuto effettivamente, liberamente e responsabilmente prendere parte alle decisioni collettive.
In queste ultime settimane il 25 aprile è stato oggetto di un vivace dibattito pubblico, riportato dalla stampa locale. E di quali aspetti della Resistenza e della Liberazione ci si è occupati?
Si sono forse ricordati i tanti giovani che sacrificarono la propria vita per la Libertà? Si è magari parlato dell’ampia solidarietà manifestata dai civili nei confronti dei partigiani in armi? Sono state forse indagate le stragi e le violenze di nazisti e fascisti, i quali non si fecero scrupolo di colpire a morte i civili, per rappresaglia o vendetta, seminando il terrore nel nostro territorio? Oppure è stato approfondito il valore simbolico della data fondante della nostra democrazia? No, niente di tutto questo. Si è discusso, con una stucchevole polemica, sulla possibile apertura degli esercizi commerciali in questo giorno di festa.
Nel frattempo a Carpi e Soliera venivano stracciate le bandiere tricolore affisse dall’amministrazione comunale in collaborazione con l’ANPI per ricordare il 25 aprile.
Di fronte a questi atti vandalici appare chiaro a tutti come sia necessario dare maggiore spazio ai momenti di approfondimento storici e commemorativi per capire il significato e il senso di questa data. Anche facendo emergere le possibili contraddizioni e le zone d’ombra della Resistenza e dell’antifascismo. Solo così possiamo recuperare il valore profondo del 25 aprile.
All’indomani della Liberazione, i modenesi nutrivano grandi speranze per la nuova fase democratica che si apriva, e desideravano lasciarsi alle spalle la lunga dittatura fascista, i lutti e le sofferenze della guerra. Ma non volevano rimuovere la memoria di quella tragica esperienza, del fascismo e dell’occupazione tedesca.
Non è dunque retorica della memoria ricordare cosa rappresenti la data simbolica del 25 aprile e credo che oggi sia ulteriormente importante farlo.
Quest’anno pare finalmente si sia posto fine al deprecabile quanto inaudito atteggiamento del Presidente del consiglio che ha sempre evitato di partecipare alle celebrazioni del 25 aprile. In nessun paese democratico dell’Occidente un Premier si sarebbe mai permesso di trascurare la liberazione dal nazifascismo o la fine della guerra. Pertanto giudico positivamente che si sia interrotta questa pessima tradizione.
Ci attendiamo però dal Premier parole chiare e dalla sua maggioranza atti coerenti. Come ad esempio il ritiro dell’inaccettabile proposta di legge avanzata dall’attuale maggioranza di Governo che prevede l’istituzione di una nuova onorificenza, denominata “Ordine del Tricolore”, da assegnare non solo ai combattenti della guerra di liberazione, ai partigiani, ai deportati, agli internati militari, ma anche ai soldati e ai militi della Repubblica Sociale. Tale proposta di legge equipara di fatto i valori di libertà e democrazia, per i quali combatterono i partigiani e le potenze alleate, con gli obiettivi di nazisti e fascisti di Salò, che al contrario si macchiarono di efferati delitti e stragi di innocenti.
In ogni paese che ha combattuto nazismo e fascismo una proposta di legge del genere sarebbe considerata un’ignominia.
Ma sentite cosa afferma il presentatore della legge nella relazione introduttiva: “Non s’intende proponendo l’istituzione di questo Ordine sacrificare la verità storica di una feroce guerra civile sull’altare della memoria comune, ma riconoscere, con animo oramai pacificato, la pari dignità di una partecipazione al conflitto”.
Ma stiamo scherzano? Noi per primi abbiamo ricordato che la pietà nei confronti di tutte le vittime di quello scontro è fuori dubbio. Ma, salvaguardato il rispetto dovuto ai morti di una parte e dell’altra, non si possono confondere le ragioni e le aspettative che dividevano chi – da vivo – ha combattuto per fini contrapposti. Gli obiettivi dell’occupante e dei fascisti di Salò non hanno la stessa dignità dei valori dei partigiani, degli alleati, degli antifascisti. I primi combattevano per negare la libertà, gli altri per restituirla al Paese.
Lo scopo dichiarato di questa proposta di legge è il conseguimento della “pacificazione nazionale”, che non può di certo essere perseguita mettendo sullo stesso piano Salò e la Resistenza, la lotta per la libertà dei partigiani e la lotta per negare la libertà dei repubblichini, le vittime e i carnefici. Questa legge vuole sovvertire la Storia per mera opportunità politica.
In concreto, questa proposta è lo strumento operativo di un progetto culturale di rozzo revisionismo storico affermato per via politica, che alimenta irresponsabilmente la divisione delle memorie e non rappresenta certo la strada per giungere ad una storia condivisa in grado di promuovere un sentimento di appartenenza nazionale. Noi non permetteremo che le nostre istituzioni si macchino di una tale vergogna approvando questo provvedimento.
Al Premier piace vestire panni diversi, presi dalla vita quotidiana: si è definito lui stesso il presidente imprenditore, il presidente operaio, il presidente ferroviere…, noi siamo ben lieti di avere oggi anche un presidente partigiano. Ma pretendiamo che sia coerente con tale nuovo, e impegnativo, abito. Pertanto dal Presidente del Consiglio ci aspettiamo parole inequivocabili e che sgombri il campo da ogni dubbio.
Se si dichiara finalmente antifascista vuol dire che quella Costituzione su cui ha giurato l’ha veramente letta. Perché la Carta, come ci ha ricordato il Capo dello Stato “non è un residuato bellico, come da qualche parte si vorrebbe talvolta fare intendere”, ma è il documento fondante della nostra democrazia, la bibbia civile del nostro Paese.
Ed essa, come ha ricordato ancora il Presidente Napolitano, pone dei limiti che “non possono essere ignorati nemmeno in forza dell’investitura popolare, diretta o indiretta, di chi governa”.
Non dobbiamo mai dimenticarlo. Perché, al di fuori della perfetta cornice istituzionale e di tutti gli istituti di garanzia democratica che i nostri padri costituenti hanno delineato, e che a volte qualcuno sembra minacciare, esiste un anticorpo alle minacce democratiche di cui tutti noi siamo custodi e responsabili.
Questo anticorpo è la memoria, che tutti noi dobbiamo mantenere viva.
Il 25 aprile non è semplicemente, come invece pensa qualcuno, il giorno successivo al 24 e che precede il 26.
È la data simbolica della nascita della democrazia italiana, della nostra libertà.
Ricordiamolo, perché gli smemorati rischiano di perdere l’orientamento e di farlo smarrire anche al Paese.»

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