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“Il bivio della crisi: protezionismo o cambiamento? New Deal globale”, di Stefano Fassina

«È oramai un luogo comune definire la crisi in corso come “epocale”. I rischi di depressione e prolungata stagnazione hanno spinto Governi ed autorità di controllo dei mercati finanziari e della moneta ad azioni straordinarie. Le risorse mobilitate sono state enormi. Le lezioni della storia apprese. Ora le condizioni del malato appaiono stabili. L’emergenza sembra superata. Ma rimane sullo sfondo un punto politico decisivo: viviamo un cambio di stagione. Un profondo movimento geo-economico e geo-politico. Infatti, non è soltanto imploso un castello finanziario. È saltato il meccanismo di alimentazione della domanda globale degli ultimi 15 anni. È saltato un ordine culturale, politico ed economico (temi del seminario di Nens “Uno sguardo oltre la crisi”, il 23 Aprile). Siamo ad un bivio. O un ordine globale regolato insieme alle economie emergenti, Cina, India, Russia, Brasile, Sud Africa. Un ordine sostenibile sul piano economico, sociale ed ambientale per ricostruire le condizioni per le democrazie delle classi medie. Un “New Deal globale”. Oppure, il ripiegamento protezionistico, nazionalista e corporativo verso democrazie elitarie profondamente diseguali e inevitabilmente populiste. Quest’ultimo è il sentiero facile, da tanti già intrapreso, nonostante la retorica pro-global. Ma la partita è in corso. Il G-20 di Londra segna notevoli passi avanti nella direzione giusta. Tuttavia, un aspetto decisivo continua ad essere rimosso: per il New Deal globale è decisivo rivitalizzare le organizzazioni dei lavoratori. É un’inversione culturale da compiere. L’ideologia dominante ieri, nutrita anche dall’arroccamento dei diretti interessati, leggeva il sindacato come residuo del mondo fordista, arnese inservibile nell’universo dell’ICT e nella società degli individui. La crisi in corso ha ammaccato tale lettura. Ora è chiaro che senza organizzazione collettiva, il lavoro viene mortificato e svalutato. E che non ci può essere democrazia delle classi medie senza sindacati forti e rappresentativi. Del resto non fu un caso che, per realizzare il New Deal, il Presidente Roosevelt firmò nel 1935 il Wagner Act, una legge federale per salario minimo, orario di lavoro, diritto di sciopero, organizzazione e contrattazione collettiva. Certo, le organizzazioni dei lavoratori e delle lavoratrici non si possono rivitalizzare per legge, ma solo a partire dai luoghi di lavoro, dal territorio, dalle mille, disarticolate forme dell’attività produttiva. E’ una sfida formidabile. Deve stare a cuore anche alle forze politiche riformiste. Esse non ritroveranno slancio senza ripartire dal lavoro quale fondamento dell’identità della persona e della cittadinanza politica.»

da L’Unita del 23 aprile 2009