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“La lunga marcia degli invisibili”, di Giuseppe De Rita

L’inchiesta di Dario Di Vico pubblicata domenica sul Corriere (dal titolo «Così il piccolo ceto medio combatte la recessione») ripropone la voglia del mondo del lavoro autonomo e della piccola imprenditorialità di sviluppare una rinnovata rappresentanza dei propri interessi e forse una vera e propria leadership di tipo sociopolitico.

E un`illusione o è il preannuncio di una lunga marcia degli interessi per contrastare l`attuale primato della dinamica d`opinione nei processi di decisione politica? Certo si può trattare di un`illusione, visto il grande peso mediatico che hanno gli eventi che fanno opinione. I piccoli imprenditori contano poco mediaticamente; si può riservare ad essi qualche elogio quando dimostrano (come è avvenuto negli ultimi mesi di crisi) di poter fronteggiare difficoltà e sfruttare opportunità, ma alla fine la scena ritorna ai grandi eventi e ai grandi protagonisti. Con famosi opinionisti a ironizzare sull`illusione del «piccolo è bello» e a confermare che il potere è nel grande.

L`inchiesta apre però il varco a un`evoluzione diversa. Mette cioè in pista una possibile lunga marcia dei portatori di interessi a superare la loro esclusione da una politica oggi pesantemente orientata dalla dominanza delle opinioni, cresciuta in un percorso di decenni.

Al proposito, i più vecchi fra noi ricordano che molti negli Anni 50, con Ugo La Malfa in prima fila, attivarono una dura lotta contro i partiti di massa: li ritenevano capaci di grande, rappresentanza di interessi, classisti ed interclassisti che fossero, ma al tempo stesso li ritenevano poveri di cultura istituzionale e di senso del bene collettivo.

Cominciò allora la lun- ga marcia del primato dell`opinione sugli interessi, proponendo il privilegio verso partiti d`opinione visti come il luogo in cui sviluppare senso critico collettivo e collettiva assunzione di responsabilità.

Tale opinione ha avuto molto più successo di quanto si potesse prevedere: i partiti di massa sono finiti; i collettori di interessi, cioè le organizzazioni sindacali e datoriali, hanno perso peso e i loro leader spesso diventano semplici portatori d`opinioni; l`associazionismo categoriale si è progressivamente marginalizzato.

Gli interessi in fondo non facendo evento non interessano la cultura collettiva e sono messi in seconda fila dall`azione politica; mentre vincono i mezzi di comunicazione di massa, tutti centrati su eventi che fanno tanta opinione e che permettono di costruire leader o immagini di leadership.

Non a caso la personalizzazione della politica na- sce proprio dal primato dell`opinione di massa: chi sa sfruttarlo, o addirittura crearlo, vince sugli interessi, anche se di grande rilevanza.

Andrà così anche per il futuro o la lunga marcia della politica d`opinione ha raggiunto il suo picco con l`irripetibile esperienza della personalizzazione berlusconiana, con la sua geniale continuata invenzione di linguaggi e di immagini che coprono ogni ulteriore spazio d`opinione? Se fosse vera la seconda ipotesi, il dopo (magari non immediato) potrebbe essere connotato da una lunga marcia a pendolo verso il primato degli interessi, e una leadership su di loro potenzialmente incentrata. Sarebbe una leadership plurale, non ripetitivamente personalizzata, e con poche eventualità di fare eventi impressivi; sarebbe quindi cosa difficile da costruire, sia in termini di contenuti che di guida politica. Ma le condizioni di base già si possono intravedere.

Corriere della Sera, 29 aprile 2009