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“La ricerca scippata ai ricercatori e al Parlamento”, di Manuela Ghizzoni

Con l’approvazione avvenuta mercoledì a Montecitorio del collegato alla finanziaria – “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, nonché in materia di processo civile” – si è inferto un duro colpo alla costituenda autonomia statutaria degli enti di ricerca vigilati dal Ministero dell’università e della ricerca.

Ci si potrebbe chiedere cosa abbia a che vedere l’autonomia degli enti pubblici di ricerca con un provvedimento collegato alla finanziaria 2009. In effetti nulla! E qui si manifesta già una parte del problema.

Ma procediamo con ordine.

Nel settembre 2007 venne approvata la legge 165, che delega il Governo al riordino degli enti di ricerca. L’iter di approvazione della legge fu caratterizzato da un inedito atteggiamento di confronto tra le forze politiche dell’allora maggioranza e opposizione, che permise di condividere i principi ispiratori della legge e i criteri direttivi della delega, al fine di dare agli enti autonomia statutaria (sancita dalla Costituzione, ma mai attuata) e consentire loro maggiore autonomia dalla politica, una più concreta dimensione europea e internazionale, un forte protagonismo della comunità scientifica.

Per questo motivo, tra i criteri della delega furono individuati i seguenti: prima stesura degli statuti affidata ai consigli scientifici, in quanto organi che rappresentano i ricercatori dei singoli enti; espressione del parere di legittimità e di merito da parte del ministero (a norma di legge) sugli statuti, sentite le commissioni parlamentari, poiché su un tema strategico come l’organizzazione della ricerca pubblica non può essere escluso il giudizio del Parlamento.

Dopo la caduta del Governo Prodi, la delega è passata al nuovo esecutivo Berlusconi, ma il clima di confronto reale che ne aveva accompagnato la discussione e l’approvazione da parte di una vasta area politica (alla Camera UDC e AN si astennero, caso unico nella legislatura passata) facevano ben sperare in un suo esercizio senza stravolgimenti. Auspicio smentito pochi mesi dopo l’insediamento del nuovo Governo e del nuovo ministro Gelmini. Forse a questo punto della storia sarebbe opportuno aprire una parentesi se sia il nostro auspicio, basato sulla sostanziale condivisione della legge, a difettare di valutazione politica, oppure se sia l’atteggiamento di rivalsa nei confronti dell’opposizione che caratterizza la destra italiana al Governo ad essere estraneo ad una moderna democrazia: ma tale disquisizione, ancorché utile, ci porterebbe lontano dall’oggetto di questo post. Già il 1° agosto dunque la Gelmini fa approvare in Consiglio dei ministri il suo primo (e per ora unico) disegno di legge (mai divenuto legge, tanto sono così comodi i decreti per far passare la propria azione politica!) in cui esplicitamente dichiara cosa sia necessario cambiare nella legge delega approvata dal parlamento che sosteneva Prodi.

Alla Gelmini (o a chi le ha suggerito la norma del disegno di legge) proprio non va giù che a metter becco nella redazione degli statuti degli enti siano i rappresentanti delle comunità scientifiche, e ancor meno accettabile risulta il parere che dovrebbe essere pronunciato dalle Commissioni parlamentari (anche se composte in maggioranza da parlamentari della propria parte politica, nominati per fedeltà). Insomma, questo Governo non può dare fiducia ai ricercatori e soprattutto non ha tempo da perdere in vuote liturgie come quelle che prevedono l’espressione del Parlamento! La ricetta della Gelmini è semplice: la prima stesura degli statuti è affidata ai consigli di amministrazione, cioè agli organi di nomina governativa; il parere delle commissioni è cassato, mentre viene moltiplicato per tre quello che Governo, dato che ben tre ministri (Gelmini, Tremoni e Brunetta) esprimeranno il proprio parere di legittimità e di merito (ma in base a quale principio normativo?), oltre che sugli statuti, anche sui regolamenti di amministrazione, di finanza e contabilità, del personale. Forse mi sono distratta, ma la delega non dovrebbe porsi come obiettivo l’autonomia statutaria degli enti? E lo si fa ammorbandoli con inutili e impropri pareri sui regolamenti tecnici interni di funzionamento?

Così è stato! Ma per non impelagare il giovane ministro in un’estenuante discussione parlamentare avviando l’iter di approvazione del disegno di legge, si è infilata la modifica della delega in una bella legge omnibus, di quelle dove trovi di tutto un po’, così che le commissioni competenti delle diverse materie non possano essere sede referente del provvedimento. Giusto per ridurre gli impicci e lo spazio di discussione al minimo.

Grazie ad una manina consenziente (appartenente al relatore del provvedimento), le volontà della Gelmini sono migrate dal disegno di legge agostano al collegato alla finanziaria in discussione al Senato (dopo la prima lettura alla Camera) in forma di emendamento. La Commissione 7ª non ha avuto modo di esprimere il proprio parere (poiché le materie originarie del provvedimento esulavano dalle sue competenze) mentre lo ha fatto la commissione Bilancio ma – udite, udite – esso è stato di tenore negativo: ciononostante e senza discussione di merito l’emendamento è approdato all’aula e qui approvato in poco più di 30 secondi.

Non molto meglio è andata, successivamente, alla Camera: in commissione, la discussione almeno formalmente si è svolta, ma, poiché nessun esponente della maggioranza e tanto meno del Governo ha pensato fosse utile e doveroso di intervenire, si è trattato piuttosto di un monologo inascoltato del PD (delle altre forze politiche di opposizione – UDC e IdV – si sono perse le traccia da molto tempo). In Aula si è replicato lo stesso film: parere contrario a tutti gli emendamenti proposti dal PD e disattenzione esibita verso chi dai banchi dell’opposizione tentava invano di spiegare le ragioni del proprio dissenso.

Così la controriforma Gelmini della legge delega per il riordino degli enti di ricerca è una realtà (manca l’ultimo, definitivo passaggio al Senato, ma non credo vi siano gli estremi per un cambiamento).

Un’ultima annotazione. L’articolo 27 del collegato alla finanziaria, che introduce le modifiche volute dal Ministro Gelmini, contiene anche due perle “nere” (ai commi 2 e 3), forse attribuibili al ministro Tremonti, che chiariscono magnificamente l’ipocrisia di questo Governo.
Il comma 2 prevede che gli enti di ricerca saranno esclusi dalla disciplina cosiddetta “Taglia enti”, introdotta dalla famigerata manovra estiva, se entro la fine dell’anno adotteranno i decreti attuativi di riordino. Detta così sembra che il Governo faccia il buono e che si stia preoccupando di trovare una scappatoia agli enti di ricerca per non sottoporli alla ghigliottina del “Taglia enti”: peccato che nella versione estiva del Taglia enti sanciva il contrario, poiché si escludevano senza condizioni gli enti ricerca da qualsiasi eventualità di soppressione!

Il comma 3, infine, sottopone con la stessa tecnica fumosa altri enti alla stessa disciplina: ebbene, tra questi figura anche l’ANVUR (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca), che però ancora non è operativa, per totale responsabilità del Governo Berlusconi. Insomma, da una parte Berlusconi e il suo “esimio” esecutivo a parole si schierano per il merito, dall’altra si sono affrettati a prevedere la possibile chiusura, prima ancora del suo reale avvio, dell’agenzia di valutazione voluta dal Governo Prodi. L’Anvur non è ancora partita che già ci si cautela prevedendone una possibile soppressione. Ma tanto si sa: è tutta colpa di questa “sinistra autoritaria e menzognera” (e, da qualche giorno, anche “maleodorante”!)

 

Intervento in Aula in discussione generale sul provvedimento: clicca qui

Discussione in Aula degli emendamenti all’art. 27: clicca qui