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“Spoon River per i caduti del lavoro”, di Bruno Ugolini

“Raccogliere la storia di chi non c’è più. Adottare una vita…”. Con queste parole due studiosi, Alessandro Casellato e Gilda Zazzara, hanno espresso l’intenzione di costruire una specie di “Spoon River” dedicato alle vittime del lavoro. Un susseguirsi di tragedie sconvolgenti anche se l’Inail e il ministro Sacconi, proprio in occasione del primo maggio, proclamano ottimismo per un decremento dei morti (“solo” 1200, forse, nel 2008).

E’ così nato un volume “Operai in croce, inchiesta sul lavoro malato” (Cierre edizioni), promosso da “Venetica”, la rivista degli Istituti per la storia della Resistenza veneta diretto da Mario Isnenghi.

L’estesa indagine pone in primo piano soprattutto una certa componente del lavoro atipico: “quelli che lavorano in nero o in modo precario, e che comunque stanno fuori dall’ombrello sindacale. Oppure quelli che hanno barattato la propria sicurezza in cambio di maggior salario…”. E diventa non solo un’inchiesta sui morti ma anche sui vivi, quelli rimasti. Una mappa dell’insicurezza sociale nel ricco nord dove “gli operai sono in croce, il lavoro è malato”. L’emblema, in copertina del libro, è la fotografia di una manifestazione a Porto Marghera con un Cristo operaio intubato, con tanto di maschera anti-gas sul volto.

Sono tante storie che si dipanano. Incontriamo i cantieri navali e le officine meccaniche di Venezia. Oppure la storia di Paul, invalido, colpito da una scarica di tremila volt mentre maneggiava cavi ad alta tensione. La storia di Anna moglie di Moris, falciato sul Ponte Cadore. Quella del rumeno Francisc Lorent, dilaniato da un apparecchio miscelatore. Quest’ultima è al centro di un diario sindacale scritto da Paolo Casanova Stua, un documento straordinario.

Chiude il volume un’intervista a Daniele Segre che col suo “Morire di lavoro” ha descritto “misfatti da guerra civile”. E in effetti lo scenario, nelle diverse pagine della ricerca, è quello di un mondo dove “Pietà l’è morta”, per immigrati, sfigati, apprendisti, dove girano droga e alcool per reggere “un lavoro e una vita di merda”. E i protagonisti, annotano gli autori, parlano come reduci, sopravvissuti, mutilati, vedove, orfani. Con le vittime che via via diventano invisibili, non godono nemmeno dei ricordi presenti sui cigli delle strade, quando un incidente stronca un’esistenza. Niente mazzi di fiori ai piedi dei palazzi appena costruiti oppure sotto un impianto o un macchinario che ha causato vittime.

Scaturisce dalla lunga narrazione un’inadeguatezza del sindacato che spesso “diventa cieco nel momento in cui il lavoratore esce dal ciclo produttivo”. Fa fatica a vederlo quando resta invalido per infortunio o malattia o vecchiaia: “ritiene di non poter fare più niente per lui”: Un problema sollevato dal recente seminario dello Spi Cgil dedicato proprio ai lavoratori maturi. A quelli come Francis, come Paul, come Moris, gli eroi della “Spoon River” veneta, moderno cimitero operaio.

L’Unità, 4 maggio 2009