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Università, non passa lo straniero

Nell’università italiana lo straniero non passa. Fanalini di coda in Europa, il nostro Paese e le nostre università non attraggono da altri Paesi. E richiamano meno di quanto già disastrosamente appare, dato che una parte non trascurabile degli iscritti con cittadinanza non italiana, non è in realtà approdata qui per fare l’università. Mentre in Francia e in Germania sul totale degli iscritti gli stranieri superano l’8 per cento, in Inghilterra il 10, e negli Usa ogni 100 universitari almeno 20 arrivano dall’estero, l’Italia sfiora appena il 2 per cento. Altro che Erasmus. Altro che scambi culturali a livello internazionale.
Lo dice l’ultimo rapporto sull’istruzione dell’Ocse, l’Organizzazione internazionale per la cooperazione economica e lo sviluppo. Il periodo analizzato è il 2006, ma le cose non sembrano essere cambiate, guardando ai dati del Miur, il nostro ministero dell’Istruzione ricerca e università, che ha un’anagrafe dettagliata e costantemente aggiornata.
Gli universitari stranieri risultano 47.555, su un totale di oltre un milione e quattrocentomila iscritti (per laurea triennale, ciclo unico o specialistica). Ma di questi, ben 13.481 al momento dell’iscrizione hanno consegnato in segreteria un diploma conseguito nelle scuole italiane. Lo confermano anche al Cineca, il consorzio universitario e centro di supercalcolo che cura l’anagrafe del Miur.
Quindi, un terzo degli studenti universitari con cittadinanza straniera in realtà apparterrebbe alla seconda generazione di immigrati: figli di cittadini stranieri, arrivati in Italia al seguito delle loro famiglie e non autonomamente, per interesse di studio. Solo che nonostante vivano qui da anni, perfettamente integrati, o addirittura siano nati in Italia, non hanno diritto alla cittadinanza italiana, e la loro identità è scritta su un documento estero.
Gli studenti in uscita, i giovani italiani che scelgono di laurearsi all’estero, sarebbero invece circa 40.000. Per il Censis nel 2006 eravamo a quota 38.690, per l’Ocse a 40.265. Considerando l’intera quota stranieri, che l’Ocse fissa (per il 2006), a 48.766, l’Italia avrebbe dunque un saldo attivo. Ma la realtà, se si esclude la quota di cervelli che pur risultando importati in realtà non lo sono, appare diversa. Siamo infatti l’unico Paese tra quelli considerati sviluppati che esporta più universitari di quanti ne importi. E degli oltre 45.000 posti messi a disposizione degli studenti internazionali dai nostri atenei, meno della metà vengono richiesti.
I laureati del futuro, un mercato globale di tre milioni di studenti, preferiscono andare altrove. E visto che la capacità di attrarre cervelli dall’estero è un indicatore importante, si capisce anche come mai gli atenei italiani scivolino verso il basso nelle graduatorie internazionali di qualità.
Alle segreterie degli atenei nazionali un terzo dei 9.825 albanesi, la popolazione universitaria straniera più consistente, si presenta con un diploma italiano, di maturità liceale, tecnica, professionale, o delle magistrali. Come almeno il dieci per cento dei 3.910 iscritti cinesi, e oltre un terzo dei 3.442 romeni, e ben più di metà dei 1.386 peruviani, o dei 1.220 marocchini. E anche, sorprendentemente, 121 dei 232 studenti statunitensi, davvero pochi: privilegiano l’Inghilterra, ci volano in oltre diecimila e altri tremila ciascuna in Francia e Germania.
I dati dell’anagrafe Miur, va detto, non sono definitivi, il flusso di inserimento è continuo e non ancora completato, come spiegano al Cineca. Ma il panorama è giudicato già sufficientemente dettagliato.
Un esempio: Bologna. L’anagrafe dell’ateneo che fra tutti ha la quota maggiore di stranieri, dichiara 88.883 iscritti, dei quali 4.631 con passaporto estero, dati certi e aggiornati. Ma di questi ben 1.553, un terzo esatto, ha un diploma italiano. Leggermente differenti i dati Miur, dove risultano 69.403 iscritti in totale (il sistema è attivo dal 2003, quindi non include le iscrizioni precedenti), con 4.012 stranieri, dei quali 1.373 diplomati in Italia. Le proporzioni non cambiano. La realtà neppure.
La Stampa 08.05.09