economia

“La violenza e l’emergenza”, di Luciano Gallino

Saranno state poche decine ad assalire il palco su cui parlava il segretario della Fiom Gianni Rinaldini. Forse non erano nemmeno particolarmente rappresentativi, perché non erano Cobas, confederazione diffusa, ma Slai Cobas. Una formazione nata anni fa da una delle infinite scissioni che affliggono la sinistra sindacale non meno di quella politica. Ed è anche vero che i media hanno ingigantito l´episodio, perché alla fine nessuno si è fatto male, Rinaldini ha potuto riprendere il suo intervento, né vi sono stati altri scontri.

Resta nondimeno la circostanza che chi ha ideato e attuato la contestazione ha commesso alcuni tragici errori. Il primo, e il più intollerabile: è gravissimo che, in una piazza di lavoratori, si impedisca di parlare ad un dirigente della Cgil, il sindacato confederale più grande e più importante del Paese. E´ accaduto solo negli anni più bui della storia italiana, ed è un fatto che non si può e non si deve ripetere oggi. Non solo. Chi ha messo in pratica quella violenza ha fatto sì che i media, a cominciare da quelli di destra, la sera e il giorno dopo parlassero soprattutto del brutto episodio, anziché della importante manifestazione dei lavoratori Fiat preoccupati per il futuro. Ha risvegliato in un´ampia fascia di opinione pubblica, già condizionata dall´attacco che la destra al governo porta al sindacato ormai da un quindicennio, lo spettro degli anni in cui etichettare come traditore un sindacalista poteva essere il preludio di azioni ben più violente. E proprio mentre voleva porla ancor più in primo piano ha balordamente distolto l´attenzione generale dalla serissima questione Fiat.

D´altra parte i nostri governanti e i loro portavoce che puntano il dito contro il comportamento dissennato di alcune decine di persone hanno sempre più l´aria dei personaggi di quella poesia di Brecht in cui, dopo aver compatito i compagni piombati nell´abisso per avere segato il ramo sul quale stavano seduti, gli astanti hanno proseguito compunti a segare il ramo su cui erano seduti. Come i dati appena il giorno dopo ci hanno ricordato ? sono maligni, i dati ? i salari netti dei lavoratori italiani si collocano ai gradini più bassi dei trenta paesi dell´Ocse: poco più di 21.000 dollari l´anno per un singolo, tenendo conto del potere di acquisto, 25.500 per una coppia con due figli. In fondo si sapeva, ma la conferma è raggelante. Perché in termini reali, depurati dall´inflazione, i salari italiani sono quasi fermi da una decina d´anni. Mentre quelli di molti altri paesi hanno compiuto notevoli passi avanti. Il risultato è che la coppia italiana con due figli guadagna oggi quasi 14.000 dollari meno di una coppia tedesca, 5.000 meno di una svedese, quasi 4.000 meno di una francese, 1.500 meno di una spagnola.

Presi insieme, la vicenda Fiat e i dati Ocse dicono che i bassi salari di milioni di lavoratori configurano ormai un´emergenza nazionale. La quale si potrebbe aggravare per ampiezza e profondità se la questione Fiat non volgesse al meglio, o se altri gruppi di imprese piccole, medie e grandi dovessero ancor più provare nei prossimi mesi il morso della crisi; della quale i dati, ad esempio quelli di aprile del Fmi, dicono che abbiamo appena visto l´inizio. Di fronte a simile emergenza, che potrebbe richiedere interventi epici, aventi dimensioni da New Deal roosesveltiano, il governo, al di là delle dichiarazioncine in Tv, non si sa bene dove sia. Ma nemmeno la Confindustria può cavarsela puntando il dito contro il governo. Perché anch´essa ha continuato a segare il ramo su cui stava seduta, mediante le delocalizzazioni, la moltiplicazione di forme infinite di lavoro sottopagato e di contratti con data di scadenza che danneggiano in ultimo le imprese non meno dei lavoratori, la sostanziale riduzione delle attività di ricerca e sviluppo. Un´altra classifica che da lungo tempo vede l´Italia in posizioni di coda. Smettere di fare quel che si sta facendo, e magari inventarsi qualcosa di realmente nuovo in tema di politiche economiche, è difficile; ma se l´alternativa è cadere nell´abisso, varrebbe la pena di provarci.
La Repubblica del 18 maggio 2009