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“Fabbriche e lavoro. Il governo è senza politica industriale”, di Oreste Pivetta

La Fiat avrebbe intenzione di chiudere Pomigliano e Termini Imerese? «Bene che ci sia stata una pronta smentita da parte della azienda». È il primo commento di Cesare Damiano, responsabile lavoro del Pd, che chiede però un incontro, finalmente, tra governo, sindacati e azienda «per definire nella sede più idonea le prospettive di politica industriale e occupazionale degli stabilimenti italiani». Damiano ricorda che cosa sta avvenendo in Germania: un negoziato molto duro che ha come protagonisti i sindacati, il governo, i governatori dei Land interessati e naturalmente la Fiat. Con un risultato: l’annuncio di Marchionne che in caso di accordo tutti gli impianti Opel resteranno in attività. Politica industriale del governo tedesco, come il governo italiano finora non è stato in grado di immaginare. «Bisogna appunto riscoprire – sottolinea Damiano – termini dimenticati: politica industriale… Per decidere come sarà questo paese dopo la crisi».

La Fiat, certo. L’altra faccia dell’assenza di una politica industriale la vediamo leggendo le classifiche Ocse sui salari: siamo al ventitreesimo posto …
«Sconcerta il modo sbrigativo e volgare con il quale il ministro Sacconi accusa la sinistra di aver creato questa situazione… Dimentica la cronaca tra il ‘92 e oggi. L’Italia sull’orlo del baratro viene salvata dalla concertazione e rimette in ordine i conti pubblici, doma un’inflazione a due cifre, riesce ad entrare in Europa dalla porta principale. Tutto questo comporta anche una moderazione salariale che per tutti gli anni novanta recupera però l’inflazione reale. All’inizio del terzo millennio il sistema smarrisce efficacia, tant’è che tutti invocano un cambio di modello contrattuale: ai tempi del centrodestra un’inflazione programmata al di sotto di quella reale fa perdere terreno alle retribuzioni. L’ultimo governo Prodi con una inflazione reale del 2,2 per cento fissò quella programmata al 2, mentre il precedente governo Berlusconi decurtava l’inflazione reale della metà».

Si è sempre detto anche di rinnovi contrattuali troppo a lungo rinviati…
«Rinnovi contrattuali sempre più ritardati, mediamente di dodici mesi. Ma la caduta dei salari ha la sua causa anche in un basso livello di produttività. Non è un caso che dopo gli anni novanta si assista alla retrocessione della tanto decantata contrattazione di secondo livello, di azienda o di territorio».

Con Prodi si fece il taglio del cuneo fiscale…
«Una delle prime misure del governo Prodi fu proprio quella di diminuire il costo del lavoro, con il taglio del cosiddetto cuneo fiscale di ben tre punti percentuali, pari a cinque miliardi di euro strutturali che tornavano così alle imprese, accorciando intanto la distanza tra salario lordo e salario netto incassato dal lavoratore».

Che fare nell’immediato?
«Bisognerebbe vincere la sordità del governo. Finché domina la filosofia di Tremonti della salvaguardia dei saldi di bilancio e dei non investimenti per combattere la crisi, si ottiene un doppio risultato negativo: nel momento in cui diminuisce il pil, il debito aumenta percentualmente, per quanto si cerchi di tenerlo fermo; il secondo risultato negativo è che senza investimenti usciremo dalla crisi più deboli, meno competitivi e con maggiori diseguaglianze sociali… Come Pd abbiamo chiesto inascoltati di utilizzare un punto di pil, pari a 15 miliardi di euro, per sostenere il reddito da lavoro dipendente, pensioni, ammortizzatori e piccole imprese e settori strategici. Come sarebbe necessario con Fiat…».

Proposta che dovrebbe interessare a Confindustria. Che si attende dall’assemblea di giovedì prossimo?
«Una valutazione oggettiva della azione di governo. Non mi pare che aspettare che passi la nottata possa aiutare le imprese. Si torna alle due parole: politica industriale».

L’Unità, 18 maggio 2009

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