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«L’imparzialità ora è a rischio», di Carlo Rognoni

Quello delle nomine Rai è un vecchio film, visto e rivisto, noioso e soprattutto indecente. Ogni volta che dal settimo piano di viale Mazzini scorrono i titoli di testa, un sentimento di rabbia, di frustrazione e di vergogna ti assale. Ma possibile che ancora oggi la Rai debba essere gestita come una dependance della peggiore partitocrazia? Il premier ha tante grane a cui prestare attenzione. Da quelli più personali – il divorzio – a quelli più amicali – la bella Noemi – a quelli giudiziari – la condanna del suo ex avvocato Mills, sentenza che lo chiama in causa come corruttore – senza contare quelli pubblici rilevantissimi legati al ruolo – dal terremoto del’Aquila all’organizzazione del G8, alla crisi mondiale che sta mettendo in ginocchio – checché ne dica lui – la nostra economia. Per cui trovo sinceramente smodato e insopportabile che trovi il tempo anche di occuparsi di chi dovrà dirigere il Tg 1 o Raiuno, di chi dovrà diventare un vice al fianco del nuovo direttore generale Mauro Masi (ma davvero ha bisogno di quattro vice?).

Non lo sfiora neppure l’idea che qualche cittadino cominci a svegliarsi e a riflettere su “il conflitto di interessi”. La politica non ne parla quasi più? E’ vero. E tuttavia che il proprietario di Mediaset si senta in diritto di indicare anche i massimi dirigenti dell’azienda concorrente, in un paese normale dovrebbe far gridare allo scandalo. Ho scritto un libro (Rai,addio – memorie di un ex consigliere, Marco Tropea Editore) per denunciare che se non cambiano i criteri di nomina del cda, il servizio pubblico rischia una lenta, inesorabile emarginazione.
L’aspetto oggi più grave non è quello morale – che pure c’è – bensì quello di funzionalità aziendale.
Uomini e donne manager si scelgono in funzione della loro professionalità e non della loro fedeltà alla maggioranza! O no?

L’Unità, 21 maggio 2009

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